A due mesi dalla scomparsa, posata la polvere delle “Laudatio”, delle prefiche e di qualche voce fuori dal coro; disperso l’incenso sparso a piene mani da tutte le televisioni, pubbliche e private, è possibile ragionare a mente fredda su ciò che ha lasciato (miliardate a parte per gli eredi legittimi), su ciò che ha fatto il De cuius. Un “Coccodrillo” postumo per il fu Caimano.
Ciò che è accaduto in vita, si replica in morte. Le lacrime, per lo più sincere, di chi lo ha amato, seguito e soprattutto votato si sono contrapposte – generalmente in modo civile – all’indifferenza di coloro che lo hanno indicato come l’autore della più grande mutazione della politica italiana nel dopoguerra, trasformata in uno show ed in un business, più di quanto lo fosse mai stata fino ad allora. Finito l’estenuante elogio funebre collettivo, è forse possibile avviare qualche lettura “a freddo” dell’uomo che ha segnato, nel bene come nel male, il secondo “ventennio” di potere nella nostra storia nazionale.
Silvio Berlusconi è stato un imprenditore capace ed intuitivo; il “fiuto” acuto dello scenario politico del suo tempo; l’interprete di un sentire comune a molti e che ha costituito una sorta di “sogno italico”; il leader lungimirante e non privo di coraggio, ma anche il “gaffeur” strabordante, il battutista di dubbio gusto, il “gallo” nazionale a proprio agio nel binomio “denaro-donnine” e colui che ha vissuto perennemente fra cadute e risalite sia sul versante imprenditoriale come politico e giudiziario, anche a causa di qualche oscuro rapporto con organizzazioni di stampo mafioso e devianze massoniche.
Ma tutto questo forse non è sufficiente a descrivere un’esistenza caleidoscopica e vissuta sempre a ritmi intensissimi. Capace di essere amato e odiato con pari intensità, ha diviso nettamente la pubblica opinione in fazioni opposte, riuscendo infine a non farsi prendere mai troppo sul serio, nemmeno dai suoi più acerrimi avversari.
Istrionico, socievole, brillante, ma anche superato “cabarettista” da balera, esageratamente egocentrico e narcisista, ha percorso la sua parabola esistenziale assistito, sopra ogni cosa, da una incredibile dose di fortuna con la quale è riuscito spesso a trarsi d’impaccio anche nelle situazioni più compromesse ed ingarbugliate. Attento ad assecondare sempre l’umore delle masse, secondo modelli già ben collaudati nelle leadership autoritarie del Novecento, dopo aver fondato un partito politico marchiato dalla medesima filosofia aziendalista posta alla base di un impero societario complesso e comunque centrale in settori come la comunicazione e lo sport, “Silvio” riesce a sistemare questa forza politica, segnata peraltro da alterne fortune, quasi sempre al centro del dibattito nazionale.
Contestualmente porta a compimento la notevole impresa di evocare e rianimare il “pericolo rosso”, in una società nella quale il comunismo è ridotto ormai solo ad un evanescente spettro per nostalgici. Eppure gli italiani gli credono e vivono nell’ansia dei cavalli cosacchi che si abbeverano alle fontane della Roma eterna e mentre il popolo fa proprie queste ansie, il “Berlusca” prova a rieditare il modello democristiano, pur senza averne compreso la complessità e le pluralità. Ha perfino la spudoratezza di paragonarsi a Degasperi, ma probabilmente si riferisce ad un frequente cognome trentino, più che allo Statista europeo di origini valsuganotte.
L’operazione di riesumare la D.C. comunque non riesce e “Silvio” ripiega su un più conveniente – e per lui anche più congeniale – partito piramidale, dentro il quale a sé stesso riserva, modestamente, il ruolo faraonico di vertice unico, assoluto ed insostituibile. Nel frattempo ha digerito il “bossismo”, il “renzismo” e, buon ultimo, il “salvinismo”, utilizzando “Forza Italia” anche come una sorta di “rompighiaccio”, un grimaldello politico e culturale, idoneo ad aprire le strade del potere a quella destra, che ricomprende anche l’estremismo neo e post-fascista e relegata fino ad ora ai bordi del ring politico italiano. Queste scelte politiche ed ideologiche, inavvertitamente, favoriscono anche la ricompattazione, peraltro a tempo determinato, della variegata galassia antiberlusconiana, che si ritrova unita in un programma politico in grado di trascinare, momentaneamente, il centrosinistra fuori dalle secche nelle quali pareva essersi arenato con la conclusione delle spinte propulsive del dopoguerra, dell’antifascismo, del boom economico e dei moti del ‘68.
Ma il “pregio” del berlusconismo si realizza nella progressiva compressione degli avversari dentro un’area di subalternità, priva di reazione forte anche davanti all’ormai evidente prospettiva semi-autoritaria che si cela dietro un paternalismo lombardo e “bonaccione”, empatico e perfino un po’ pecoreccio. Chi non ricorda la nipote di Mubarak, le “olgettine” e “l’orco” che si nutre di vergini, secondo la descrizione dell’ex (esosa) consorte?
Amico degli estremismi di Putin, Trump e Orban, mescola convenienze personali, vantaggi nazionali e crescita dei redditi aziendali suoi e delle imprese italiane che lavorano con l’estero, nonostante la critica, anche pesante, dei grandi media internazionali. Fallito il sogno di diventare Presidente della Repubblica, ripiega sul meno complesso autoproclamato ruolo di “padre nobile” della destra, incassando una simpatia che, nel tempo, si trasforma però in sopportazione da parte di quelle nuove classi dirigenti di quella stessa destra che provano a farsi strada sulla scorta dello “sdoganamento” ideologico e culturale, voluto e perseguito proprio da Berlusconi.
Contraddizioni, controversie, aspirazioni e delusioni sono il sale degli ultimi periodi di “Silvio”, sempre più ingombrante, ma anche sempre più ostinatamente legato al suo sogno di potere da un lato e di amore universale dall’altro. Coltiva il bisogno di essere amato dall’Italia intera, dall’ Europa e dal mondo e per ottenere quest’amore è disposto a tutto, nella convinzione che il suo orizzonte sia anche quello del pianeta.
Quando sopraggiunge “la grande Consolatrice”, Berlusconi lascia un vuoto evidente dietro di sé. Come tutti i leader autoritari non ha creato continuità, non ha individuato alcuno al quale cedere la leadership e, ciò facendo, ha decretato anche l’esaurirsi, probabile, dell’esperienza politica di chi lo ha seguito fin qui. La storia si incaricherà di confermare o correggere codesta impressione, ma fino a prova contraria la sensazione rimane intatta. È sicuro, invece, che la politica italiana ed europea farà ancora i conti a lungo con il fantasma di Berlusconi, con il suo passato, il suo lascito e la sua narrazione.