Ancora una volta vivere solo sui canali social, porta a morire. Con un’esibizione di incredibile pochezza superomista, quattro ventenni che vivono nella periferia romana e nella centralità di You Tube e Tik Tok, hanno strappato via, come un inutile stelo d’erba, la vita di un bimbetto di cinque anni.
Non si tratta di idiota goliardia, né di esibizioni circensi, né di follia congenita, ma solo di follower, solo dei “click” di un mondo irreale che irrompe nella realtà e recide l’ultimo singhiozzante respiro di sorridenti riccioli biondi.
Avevano noleggiato una “supermacchina”, pagando 1.500 euro al giorno, per stare alla guida 50 ore, in un eccesso di tutto. Qualche settimana fa, su queste pagine, plaudivamo commossi ad un ragazzo di Gardolo che si è rimboccato le maniche nel disastro della Romagna e consideriamo ancora quel gesto un segno di speranza. Eppure, davanti all’infinito niente dentro il quale è maturata questa “bravata” omicida, ci fermiamo attoniti, perché non riusciamo più a capire.
Ragazzi quasi coetanei che si rimboccano altrettante maniche per vivere come gli animali in una casa di cartone e postare questa scemenza sui social, oppure immergersi a lungo in una piscina di ghiaccio, per affermare cosa? Per ottenere che cosa?E mentre questi nostri figli si esaltavano nel vuoto desolato della loro domanda di vita bruciante, il piccolo Manuel si affacciava alla vita, nell’incosciente attesa del “click” dei follower. Guardava il mondo difficile del presente con il sorriso che solo un bimbo piccolo sa trovare dentro il suo essere umano. Anche quei ragazzi sorridevano, spavaldi, con finte arie da “duro”. Adesso ci sono solo mute lamiere contorte a dire di un dolore incomprensibile, mentre i “click” riprendono il loro monotono ritmo di velocità e di incoscienza e Manuel dorme, composto, con tutta la sua morte addosso