“Olio, petrolio, benzina minerale, al Partito Popolare ghe üntarem le bale”. Così cantano gli squadristi cremonesi che inneggiano al manganello “che spacca il socialcervello”. Tra le fine del 1921 e l’inizio dell’anno seguente, Cremona fa parte del “quadrilatero padano e squadrista”, insieme a Ferrara, Bologna e Mantova secondo la definizione di Italo Balbo (1896-1940), ma si distingue dalle altre città soprattutto per la lotta spietata delle squadracce contro i “popolari” di Guido Miglioli, “il bolscevico bianco”, che propugnano nuove forme di gestione del lavoro agricolo coniugando quest’ultimo alla proprietà dei mezzi di produzione, in una sorta di visione social-cristiana.
In questo scontro oltremodo violento, emerge la figura di Roberto Farinacci, che ben presto diventa il “ras” dello squadrismo locale e che, insieme ad Achille Starace, è anche uno dei fondatori del Fascio della Venezia Tridentina e guida le “marce” su Bolzano e Trento.
Roberto Farinacci (1892–1945) è di origini abruzzesi e lavora per le regie Ferrovie in qualità di “capo stazione”. Aderisce quasi subito al sindacalismo socialista, per passare poi alla corrente riformista di Bissolati e diventare infine interventista nel 1914. Privo di una solida cultura – e ciò nonostante redattore del settimanale “La Squilla” – Farinacci si fa notare per la sua oratoria aggressiva, violenta e volgare, quanto piuttosto sgrammaticata, con la quale però affascina gli uditori alla sua altezza e spesso di umili origini.
Entrato nel 1915 nella Massoneria, viene poi da questa espulso per “indegnità morale” in seguito al poco elegante tentativo di esonero dal servizio di leva. Dopo alcune peripezie, riesce comunque ad arruolarsi come volontario nel 3° Reggimento Genio Telegrafisti, dal quale dopo un anno viene precettato nuovamente nel servizio ferroviario, facendo così rientro a Cremona e al suo lavoro di “capo stazione”.
Con la fine del conflitto, inizia la collaborazione con la testata diretta da Mussolini – “Il Popolo d’Italia” – in qualità di corrispondente dal cremonese e, nel marzo del 1919, partecipa alla fondazione dei Fasci di Combattimento e alla riunione di piazza San Sepolcro a Milano. Un mese dopo fonda il Fascio di Cremona, avviando un’intensa attività di propaganda e proselitismo che gli attira l’attenzione e l’apprezzamento del futuro duce.
Eletto alla Camera dei Deputati nella consultazione politica del 1921, Farinacci riprende anche gli studi superiori, con i corsi per i reduci di guerra e consegue infine la laurea in Giurisprudenza a Modena nel 1923, con una tesi acquistata da un altro studente. Nella sua veste di parlamentare, ma anche di “capo” dello squadrismo cremonese, collabora assiduamente con Starace alla campagna di propaganda nazionalista e fascista destinata alle “terre redente” del Trentino e dell’Alto Adige. Queste sono infatti un banco di prova importante per lo squadrismo e per la pressione che esso impara ad esercitare sulle istituzioni e le autorità dello Stato. Starace e Farinacci, leader del fascismo nella Venezia Tridentina, costruiscono reti di adesioni e di assistenza, anche mobilitando i Fasci delle province vicine.
A Trento, Farinacci è il più intransigente nel pretendere le immediate dimissioni del Commissario civile, l’on. Luigi Credaro, accusandolo perfino di “non aver fatto disporre l’esposizione dell’immagine del re Vittorio Emanuele III nelle sale del municipio di Bolzano.” Il 3 ottobre 1922, Farinacci guida quindi il “braccio di ferro” con le autorità civili e militari presenti a Trento e due giorni dopo, a seguito di pesanti intimidazioni, ottiene la “resa” di Credaro che parte definitivamente per Roma. Nel frattempo la sua nomina a deputato viene invalidata per motivi tecnici, ma il “fu onorevole” la prende male e dalle pagine del giornale che dirige –
“Cremona Nuova” – minaccia gli avversari dichiarando quanto segue: “Voi mi cacciate dal Parlamento, ma io vi caccerò dalle piazze d’Italia!”
Farinacci è un ignorante, violento, irascibile e un corrotto. Riceve soldi dagli agrari e scatena le sue squadre contro i socialisti, i “popolari” e le cosiddette “Leghe bianche”, arrivando a controllare dapprima le campagne e poi concentrando la violenza contro le Amministrazioni comunali a guida socialista e popolare. Intimidazioni, pestaggi, distruzioni ed una totale incapacità di dialettica politica trasformano ben presto Farinacci nell’esponente dello squadrismo più intransigente e duro. Interprete di una fisicità della politica, richiama spesso ed anche a regime ormai consolidato, l’urgenza di una “seconda ondata rivoluzionaria”, per spazzare via gli ultimi residui dello Stato liberale, ponendosi in tal modo in rotta di collisione con lo stesso Mussolini che lo allontana da ogni incarico pubblico e di Partito.
Rieletto alla Camera dei Deputati nell’aprile del 1924, Farinacci individua subito in Giacomo Matteotti il nemico da eliminare e si schiera, “rara avis”, a sostegno di Mussolini durante la crisi politica seguita all’omicidio del deputato socialista. Mussolini non dimentica e, pur consapevole dell’estremismo di questo “eterno squadrista di provincia”, ne agevola al nomina a Segretario nazionale del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista), nel gennaio del 1925. A quest’incarico prestigioso, si affiancano nomine più remunerative, come la presidenza della Cassa di Risparmio Lombarda ed altri incarichi di rilievo, fino a quando, incapace di dominarsi, Farinacci si scontra nuovamente con Mussolini, pur amandolo, stimandolo e riconoscendogli la statura di “capo del fascismo”, ma al quale non riesce però a risparmiare critiche anche pesanti, al punto da ricevere il soprannome ironico di “suocera del regime”.
Dopo aver assunto la difesa degli assassini di Matteotti, atto che lo rende inviso a molti e dopo ulteriori frizioni con il duce, si ritira a Cremona ed esercita una redditizia professione forense che abbandona solo nel 1936, per arruolarsi volontario nella guerra di Etiopia, dove perde la mano destra per lo scoppio di una bomba a mano durante una… battuta di pesca.
Inviato come osservatore militare in Spagna, durante il conflitto civile e presso il golpista Francisco Franco (1892-1975), viene in contatto con l’ideologia nazista che lo affascina ed aderisce alle teorie antisemite di Giovanni Preziosi, facendosene interprete, prima sulle colonne del suo giornale “Il Regime fascista” e poi alimentando la campagna antisemita che porta all’obbrobrio delle “leggi razziali”. Sempre più vicino alle posizioni naziste, con lo scoppio della guerra, diventa un entusiasta sostenitore del III Reich, attirandosi così le inimicizie di Balbo, Grandi, Ciano e Badoglio. Sempre attento a ciò che accade, scopre il complotto monarchico-fascista volto alla destituzione del duce ed all’interruzione del conflitto per l’Italia. Avverte prontamente Mussolini che però non lo ascolta. Dopo la caduta del regime, si rifugia nell’ambasciata tedesca a Roma e da lì fugge a Monaco di Baviera. Con la nascita della Repubblica Sociale Italiana rientra, infine, a Cremona, invocando il ritorno al movimento delle origini e l’immancabile vittoria finale del nazifascismo sulle “demoplutocrazie” e l’eterno nemico “rosso”. Lo sfaldamento della R.S.I. e l’avanzata alleata nella penisola, spingono Farinacci alla fuga verso la Valtellina, ma viene arrestato dai partigiani il 27 aprile 1945, dopo uno scontro a fuoco nei pressi di Bergamo. Processato sommariamente il giorno seguente a Vimercate, viene fucilato.
Finisce così l’esperienza umana e politica del più squadrista e radicale fra i gerarchi fascisti, ma anche di un individuo avido, gretto, violento e razzista che, fortunatamente, non pare aver lasciato particolare segno di sé nella storia e nella vita della Repubblica democratica nata dalla Resistenza.
(7-continua; le precedenti puntate sono state immesse in rete il 24 marzo, 7 aprile, 17 aprile, 1° maggio, 14 maggio, 22 maggio 2023)