Che cosa spinge un affermato commercialista e fiscalista a diventare interprete e traduttore di una vicenda che, pur in tutta la sua assoluta verità, sembra uscita, a prima vista, dalla fantasiosa penna di Ian Fleming o dei migliori autori delle più incredibili “spy story”? Quale intimo senso del “dovere del racconto” ha mosso Alessandro Tonina nella traduzione complessa e poliedrica del diario dell’arzillo prof. Jacob Ingerman, insegnante in pensione e uomo dell’“intelligence” sovietico prima ed israeliano poi? La recensione di Renzo Fracalossi su codesta “storia unica nel tritacarne della seconda guerra mondiale”.
Le ragioni di una scelta così impegnativa, come quella compiuta da Alessandro Tonina nell’affrontare la memoria aggrovigliata di una vita vissuta per quattro lunghi anni ai limiti dell’immaginabile, vanno forse ricercate anzitutto nella straordinaria fascinazione che quelle pagine di diario esercitano su chiunque le affronti.
Jacon Ingerman è un giovane insegnante ebreo di matematica nel kolchoz bessarabico di Gnadenfeld, da poco transitato sotto il potere sovietico a seguito del cosiddetto “patto Molotv – Ribbentrop”, voluto da Stalin per rallentare le mire espansionistiche verso oriente del “Lebensraum” hitleriano. In quell’accordo rientra anche la spartizione della Polonia e di altri territori, come appunto quello dove vive Jacob. È da questa vicenda che prende avvio “Un ebreo al servizio del Reich” (Jacob Ingerman – a cura di Alessandro Tonina – Ed. ViTrenD – € 18), un libro imperdibile e che avvolge il lettore dentro la storia, portandolo su dimensioni narrative individuali e così originali da risultare forse uniche nel vasto panorama della letteratura bellica.
Il racconto prende avvio quando l’autore è chiamato a vivere ed insegnare in quella sorta di “comune agricola”. Tutto sembra scorrere nella normalità quando, alle 3.30 della notte del 22 giugno 1941, scatta l’“Operazione Barbarossa”, ovvero l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica. La vita tranquilla e piena di speranza del giovane Jacob viene travolta in un attimo, mutando radicalmente il suo destino e portando il giovane ebreo quasi al centro del gorgo della storia. Fin dalle prime ore dell’attacco nazista, sono infatti gli ebrei le prime vittime di una guerra ideologica, che annovera, fra i suoi scopi primari, l’eliminazione definitiva del “bubbone ebraico”.
Jacob fugge davanti all’incedere inarrestabile della Wehrmacht dentro le sterminate pianure ucraine, bessarabiche e russe. Con altri attraversa il fiume Dniepr e raggiunge la città di Rostov, dove si arruola nell’Armata Rossa. Destinato come ufficiale alla Scuola di artiglieria, viene poi selezionato per frequentare corsi di spionaggio militare e si specializza quindi nella “Razvietka”, cioè la ricognizione e l’infiltrazione. Ha così inizio una funambolica esperienza che lo porta dapprima ad “entrare” nella Wehrmacht come interprete e poi a conquistarsi la fiducia dei tedeschi, riuscendo sempre e miracolosamente a nascondere le tracce evidenti della sua ebraicità. Attraversa a ritroso l’Europa orientale con le truppe in ritirata, per approdare, dopo lunghe peripezie, a Mezzolombardo, ospite di una famiglia trentina legata alla Resistenza. Nella piana Rotaliana trova anche l’amore ed imbocca la strada di un nuovo destino che lo porta in Eretz Israel e alla partecipazione all’avventura del neonato Stato di Israele e dei suoi Servizi di Informazione.
Quello che vive e sopporta Jacob Ingerman in quegli anni crudeli e violenti del conflitto mondiale, oltrepassa abbondantemente ogni confine dell’immaginabile, iscrivendosi in quella straordinarietà totale ed unica che solo l’abisso della guerra sa creare.
Pagina dopo pagina, con la scorrevolezza di un romanzo dal ritmo forsennato, il protagonista forma sé stesso e, partendo dall’ateismo marxista, giunge alla riscoperta della sua profonda radice culturale e spirituale ebraica, grazie al dialogo intenso – e per certi versi paradossale – con un frate cattolico, quasi a dire dell’universalità che promana dal Libro e che consente di superare ogni ostacolo materiale, ideologico e morale.
Attraversando i campi di battaglia e i ricorrenti sospetti dei fanatici nazisti; sopportando l’odio antisemita esibito, ma anche amando e cercando sempre di portare fino in fondo il suo compito al servizio della patria sovietica, Jacob riesce a fare un doppio viaggio: quello dentro la storia più drammatica del XX secolo e quello dentro sé stesso, tenendo sempre alta la bandiera della propria consapevole dignità di uomo e di ebreo.
È proprio questo carattere che Alessandro Tonina, nella sua ricercata e puntuale opera di traduzione ed adattamento dalla lingua inglese, pone nel dovuto risalto, rendendo la lettura, non solo piacevole, ma anche attenta a quelle sfumature che fanno di questo libro, anziché una somma di peripezie fantastiche, un racconto carico di umanità, di limiti, di errori e di speranza.
Jacob Ingerman insomma non è una sorta di James Bond circonciso, ma un essere umano con le sue paure, il suo coraggio e le sue incertezze; un uomo che sentiamo vero e vicino e perciò condividiamo e partecipiamo a tutta la sua rocambolesca parabola bellica, ai suoi tormenti ed ai suoi sogni, come fossero i nostri.L’avvento dell’estate è generalmente propizio alla lettura. Approfittatene per fare vostro “Un ebreo al servizio del Reich”. Si legge d’un fiato, ma sa anche interrogarci su quella fiducia nell’uomo e nella sua energia morale e materiale che muove la storia e che avvertiamo, oggi più che mai, irrinunciabile.