L’imam dei musulmani trentini e fondatore della Comunità Islamica del Trentino-Alto Adige, il medico di origine siriana Aboulkeir Breigheche (nella immagine di copertina) ha dichiarato a “IlT-quotidiano”: “Credo che in Trentino sia arrivato il momento di costruire una moschea”. E se dalla diocesi (il responsabile dell’ufficio per il dialogo interreligioso, don Cristiano Bettega) e dal comune di Trento (il sindaco, Franco Ianeselli) è arrivato un sì deciso e un auspicio che la progettata moschea vada in porto, sul versante politico e da una ben precisa parte politica si sono registrate le consuete alzate di scudi. Motivando con un fascio di radici, memoria storica e cultura locale, i sedicenti difensori della tradizione hanno preannunciato una “lotta dura, senza paura”, tanto per prendere in prestito un vecchio slogan caro alla sinistra extraparlamentare di un tempo.
Forse il pregiudizio, qualunque esso sia, è la battaglia più difficile da vincere. Giudicare prima di conoscere è comodo e spesso efficace. Serve a blandire consensi, a creare mostri, ad alimentare paure che qualcuno sa sempre come usare. Coltivare il pregiudizio non comporta nessuno sforzo culturale ed afferma verità inconfutabili. Per secoli il pregiudizio si è esercitato contro l'”altro” e ha dato prove di sé: dalle accuse di omicidio rituale al “foetor judaicus”. Gli ebrei ne sono stati – e spesso sono tutt’ora – le vittime predilette e ne portano ancora, sulla pelle “numerata”, le stigmate.
Ma, come sempre, la storia non insegna nulla e così, a fronte della proposta di dar corso alla costruzione di una moschea a Trento, c’è subito qualche “ultimo crociato” che afferma una sua aprioristica contrarietà sostenendo che: “la costruzione di un luogo di culto, riservato anche a possibili leader religiosi che hanno dimostrato di essere incompatibili con i nostri ideali di libertà, non faccia altro che alimentare la paura dei cittadini, innescando un circolo vizioso di sospetti, intolleranze e violenze.” (Il “T” pag. 20 – 2 giugno 2023).
È questo il trionfo di un pregiudizio che spaventa. Infatti, chi sono questi leader religiosi che hanno dimostrato di essere incompatibili con i nostri (sic) ideali di libertà? Fuori i nomi, le prove e le accuse, perché tutto il resto è illazione, supposizione, ipotesi che qualcuno sparge a piene mani per nutrire la paura, per alimentare la diffidenza e per creare un conflitto, dal quale lucrare forse qualche preferenza elettorale in più. Sembra proprio che la lezione di Julius Streicher e delle pagine di “Der Sturmer” non sia passata invano: ieri il nemico giudeo e oggi qualsiasi altra differenza, a prescindere.
Qualche ulteriore preoccupazione sul tema spinge altri difensori del “prima noi” a sostenere la volontà di “salvaguardare la nostra identità ed il nostro credo.” Va da sé che costoro hanno probabilmente “marinato” la lezione sulla tolleranza che fin dalla metà degli anni Sessanta il Concilio Vaticano II ricorda ai cristiani e sono ancora fermi al “Deus lo vult” di medioevale memoria, in nome del quale si è scavato, nei secoli, un fossato incolmabile con le altre religioni del Libro.
Trento avrà o non avrà la sua moschea, ma non è questo il punto. Il problema è infatti a monte, ovvero nell’arroganza di pregiudizi individuali che diventano riferimento politico collettivo e che, alimentando le paure, rischiano di aprire la strada a quell’intolleranza pregiudiziale che già ha lordato questa terra di sangue innocente. Ebrei, cristiani e mussulmani sono tutti Figli di Abramo; discendono da una medesima radice che fa perno sull’amore, sul dialogo, sul rispetto e sulla reciproca tolleranza; sono i grandi testimoni del monoteismo che pone al centro l’uomo nella sua interezza. Rifiutare a priori ogni possibilità di confronto significa costringere questo tempo di scambio e di incontro ad involversi in dimensioni di conflitto e di sordità davanti alla forza della Parola, ma significa anche dimenticare che Trento ha una antica e profonda vocazione al confronto; una vocazione che ha aperto preziosi colloqui di reciprocità con il mondo ebraico e l’ortodossia slava, grazie a figure come Iginio Rogger e Silvio Franch e che arriva fino alle aperture più recenti degli arcivescovi Bressan e Tisi. Ma tutto questo non conta affatto per chi sentenzia dall’alto della sua presuntuosa conoscenza e spinge allo scontro, alla lotta e al conflitto fra le fedi, negandone in ciò la stessa essenza.
Vale ancora la pena ricordare che il Vangelo non è un elastico adattabile a tutte le circonferenze, ma una lezione morale ed etica, ancor prima che religiosa?