Le zone agricole della pianura padana ed emiliano-romagnola e quelle collinari toscane diventano, in breve, teatro di tensioni e scontri pesanti che principiano con la vittoria elettorale dei socialisti nel 1919 e che innesca violenze ed atti illegali contro la proprietà privata. Ciò diffonde il terrore dei “rossi”, ai quali si decide di opporre violenza a violenza, prima che sia troppo tardi e scoppi veramente una rivoluzione, sul modello di quanto avvenuto solo pochi anni prima in Russia.
Nel 1920 nasce la Confederazione Generale dell’Agricoltura – un primo esempio del modello cooperativistico – che raccoglie più di quattrocento associazioni di produzione agricola, sparse su tutto il territorio nazionale, ma concentrate prevalentemente fra l’Emilia Romagna ed appunto la Toscana. Si tratta di una realtà importante e forte, che riesce rapidamente a far eleggere ventisette deputati, i quali formano un compatto “gruppo agrario”, cioè quasi una sorta di lobbies, in Parlamento a sostegno di un diverso e più equo modo del produrre e del commerciare.
Si tratta di avvenimenti che preoccupano e terrorizzano l’establishment regionale, “costretto” quindi ad impostare una reazione, per la quale lo squadrismo diventa elemento essenziale. E così, nel novembre del 1920, in occasione di alcune consultazioni elettorali locali, le squadre fasciste preventivamente finanziate garantiscono una presenza armata ai seggi e minacciano gli elettori, anche ostacolando raduni e comizi sia dei socialisti, come dei cattolici-popolari che in queste zone raccolgono da sempre una cospicua mole di consensi.
Da quel momento in poi le “spedizioni punitive” distruggono progressivamente uno dopo l’altro i centri di influenza socialista, le sedi di aggregazione popolare, le varie “leghe” dei braccianti e degli operai e quant’altro possa essere utile alla diffusione delle idee e dei programmi della sinistra. A Bologna e nella sua provincia, dopo gli incidenti di palazzo d’Accursio, lo squadrismo non si affida a particolari figure leaderistiche, lasciando emergere quindi il quasi moderato Dino Grandi, uno dei personaggi di maggior rilievo del fascismo e del quale ne segna la vicenda.
Figlio di una famiglia benestante, dopo gli studi superiori ed universitari in giurisprudenza, diventa giornalista per “Il Resto del Carlino” ed elegge a proprio “maestro” Giuseppe Prezzolini, fondatore della rivista culturale “La Voce”. Seguendo da inviato i lavori della Direzione nazione del P.S.I. che, nel novembre del 1914, espelle Mussolini per il suo acceso interventismo, in contrapposizione alla linea ufficiale pacifista del Partito, Grandi scrive a Mussolini, tre giorni dopo l’uscita del primo numero del nuovo giornale “Il Popolo d’Italia”, una lettera di solidarietà. E’ l’inizio di un sodalizio politico importante. Il 4 giugno 1915, a guerra già scoppiata, si arruola negli alpini e combatte al fronte e dopo il congedo, riprende gli studi universitari laureandosi ed avviando la carriera di avvocato.
Deluso dagli esiti della pace e dai limiti dello Stato liberale, Grandi sceglie la vita forense, se non fosse fatto oggetto ad Imola di un attentato (ottobre 1920) perpetrato da elementi di estrema sinistra, che lo fa decidere ad entrare in politica, iscrivendosi al neonato Fascio di Combattimento di Bologna, dove gli affidano la direzione del settimanale “L’ Assalto”. Già simpatizzante di Mussolini, segue le attività fasciste e, nel 1921, diventa segretario regionale dei Fasci di Combattimento emiliani, partecipando, in tale veste, alla “marcia su Ravenna”.
Entra poi nel Partito fascista ed al congresso nazionale di Roma (7–10 novembre 1921) viene eletto nella Direzione nazionale, anche se nel 1922, a seguito di alcune azioni particolarmente violente e non condividendo la trasformazione di fatto del Partito in una forza militare, presenta le dimissioni che vengono respinte, ma che impongono a Grandi l’assunzione di un basso profilo politico. L’uomo però è intelligente, brillante e colto. Serve quindi al fascismo ignorante e violento erede dello squadrismo, per costruire un’affidabile immagine borghese. Entra così nel governo con incarichi da Sottosegretario nel 1924 e poi come Ministro degli Esteri dal 1929 al 1932, quando decide di andare a Londra in veste di ambasciatore del regno, a seguito di uno scontro con Mussolini che teme la sua concorrenza come leader di prestigio internazionale.
Rientrato in Italia nel ‘39, diventa Ministro della Giustizia per poi assumere “ad interim” anche la carica di Presidente della Camera dei Deputati. Grandi però è un fascista “sui generis” che intuisce il destino del Paese ormai travolto dalla guerra. Rivela così il suo pensiero quando Mussolini convoca il Gran Consiglio del fascismo, il 25 luglio 1943. La situazione bellica dell’Italia è disastrosa. Gli Alleati sono sbarcati in Sicilia ed i tedeschi sono ovunque. Grandi, insieme ad altri dirigenti del Partito fra i quali Galeazzo Ciano, si rende conto della gravità e formula quindi quel famoso “ordine del giorno” che porta alla caduta del fascismo. Un mese dopo viene inviato in Spagna per un primo contatto con gli Alleati, anche se il tentativo è reso inutile dalla resa dell’8 settembre. Condannato a morte in contumacia dalla R.S.I. nel 1944, ripara in Portogallo dove vive faticosamente fino al 1948, per poi ritornare “a galla” grazie ad incarichi di rappresentanza per la FIAT e come intermediario in operazioni politiche e di affari fra l’Italia e gli U.S.A. Dopo un periodo trascorso in Brasile, rientra definitivamente in patria, aprendo una fattoria-modello ad Albareto di Modena e risiede a Bologna, dove muore nel 1988 all’età di 93 anni.
Ma torniamo ai primi anni Venti. Dopo Bologna, Ferrara dove gli industriali zuccherieri (Eridania e Unione Zuccheri) ed i proprietari terrieri sono i finanziatori dello squadrismo locale in opposizione ad una classe contadina evoluta e molto politicizzata nel segno del socialismo. A Ferrara agisce un reduce di guerra Olao Gaggioli. Egli fonda il Fascio futurista cittadino di forte spirito rivoluzionario e marinettiano, che aderisce al raduno di piazza San Sepolcro a Milano e alla fondazione dei Fasci di Combattimento.
Nel 1919 il P.S.I. trionfa nelle elezioni in Italia, dando origine a quello che verrà chiamato poi “biennio rosso”. Scioperi, occupazioni di fabbriche, rivolte dei braccianti spaventano la borghesia che si affida allora allo squadrismo. A Ferrara è tornato da poco un giovane irruente e carismatico, Italo Balbo che, prima del conflitto è stato anche guardia del corpo di Cesare Battisti nelle fasi della campagna interventista e poi ha combattuto come volontario con i gradi di sottotenente prima negli Alpini e poi nella nuova Aereonautica che diventerà la sua grande passione.
A Ferrara gli viene offerta la segreteria del Fascio, posto che Gaggioli si è dimesso dopo aver criticato la svolta reazionaria e borghese del fascismo locale, dichiarando che: “il Fascio è la guardia del corpo del pescecanismo!” Nel 1920 Balbo aderisce al Partito e ben presto diventa il riconosciuto capo dello squadrismo agrario, mettendo a frutto le sue doti di comando e dando vita alla squadra d’azione “Celibano”, finanziata generosamente e con la quale il 26 e 27 luglio compie la “marcia su Ravenna”, distruggendo al suo passaggio le strutture di molte cooperative ed incendiando l’hotel Byron, sede cittadina della cooperazione socialista.

Nel maggio del ‘22 entra nella Direzione del P.N.F. e viene designato da Mussolini “quadrumviro” per guidare la “marcia su Roma”, dove giunge ed organizza una tragica spedizione punitiva contro il quartiere “rosso” di San Lorenzo. Alla fine della marcia però, non ottiene nulla. Mussolini avverte il pericolo di concorrenza rappresentato dall’energico Balbo. Nel frattempo, accusato di essere il mandante dell’omicidio di don Giovanni Minzoni ad Argenta, viene processato ed assolto, estendendo quindi la rete del suo potere locale sull’intero ferrarese.
Lo squadrismo diventa la fucina di una classe dirigente del regime formatasi alla “scuola del manganello”, componente quest’ultima essenziale dell’anima fascista, come rivendica lo stesso duce quando in Parlamento afferma: “Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa!”
Diventato pilota nel 1927 e Sottosegretario al Ministero dell’Aeronautica, retto da Mussolini che in tal modo controlla uno dei suoi gerarchi più autonomi e popolari, Balbo riorganizza l’arma aerea, partecipa a molte competizioni aeree mondiali, fonda la “Città dell’ Aria” un moderno centro di ricerche aeronautiche a Guidonia, partecipa a crociere aeree sul Mediterraneo e viene nominato infine Ministro dell’ Aeronautica nel settembre del 1929, organizzando e guidando, in tale veste, la prima crociera aerea transatlantica da Orbetello a Rio de Janeiro ed un’altra, nel 1933, sempre da Orbetello verso il Canada e gli Stati Uniti, dove viene accolto trionfalmente, ottenendo al rientro in Italia la nomina a “Maresciallo dell’Aria”.
Raggiunta una enorme popolarità e considerato ormai un insidioso rivale del duce, Balbo viene inviato, in qualità di Governatore generale, in Libia dove imprime un forte impulso alla colonizzazione italiana. È il meno servile dei gerarchi e diffida del rapporto crescente con i tedeschi, fomentando un dissenso che cresce e si acuisce con le “leggi razziali” del 1938, che Balbo critica e disprezza. Sa che l’Italia non è pronta per la guerra e non crede all’alleanza con Hitler, guardando piuttosto con favore verso la Gran Bretagna, come il suo conterraneo Grandi. Combatte contro gli inglesi nel deserto, riconoscendo una loro superiorità tecnica e subendo più di uno scacco. Il 28 giugno 1940 si leva in volo da Derna per raggiungere Tobruch ma, scambiato per aereo nemico, viene abbattuto dalla contraerea italiana. Incidente? Tradimento? Omicidio di Stato? Le teorie sono molte, vista l’ombra che Balbo fa al duce, ma mancano le eventuali prove e, per la storia, rimane vittima di un incidente di guerra.
Con lui muore l’esibizione muscolare dello squadrismo, la violenza bruta, le squadracce delle spedizioni punitive, ma anche una figura particolare del fascismo, l’unica, secondo Mussolini, “capace di uccidermi”.
(3-continua; le precedenti puntate sono state immesse in rete il 24 marzo e 7 aprile 2023)