Come abbiamo visto, nelle regioni settentrionali è il sistema industriale e commerciale – o almeno ampi strati di esso – che sostiene e foraggia lo squadrismo ai suoi esordi, mentre nel meridione sono gli agrari che si fanno, in gran parte, carico di tale compito. Il fenomeno comunque investe l’intero Paese assumendo connotazioni diverse e specifiche, come nel caso della Venezia Giulia.
In quel territorio lo squadrismo veste i panni di un mai sopito nazionalismo dettato dalla contiguità con un confine difficile come quello orientale e slavo e proprio in queste zone nascono due delle squadre più note ed agguerrite: la “Disperata” e la “Me ne frego”, sorte sull’onda della travolgente esperienza fiumana di D’Annunzio.
La ricca famiglia degli armatori Cosulich, ma anche società assicurative, cantieri navali e banche del territorio, dopo aver sostenuto l’effimera avventura del Quarnaro, si impegnano finanziariamente nei riguardi dello squadrismo giuliano, individuato quale utile strumento d’opposizione al socialismo e quale baluardo dell’italianità in conflitto con il panslavismo balcanico.
Mussolini comprende in fretta la domanda che sale dalle classi dirigenti di quell’area e constata la rilevanza del sostegno economico che le stesse sono in grado di fornire, invia a Trieste, con lo scopo di costituire il locale Fascio di Combattimento, uno dei suoi fedelissimi, ovvero Francesco Giunta. Con il mese di maggio del 1920 iniziano le “spedizioni punitive” contro le organizzazioni socialiste e le Camere del Lavoro, fino all’assalto ai cantieri navali di Monfalcone il 27 agosto 1920, fase culminante di scontri avviati dapprima nelle vie cittadine e poi dentro le strutture cantieristiche, ovviamente senza alcun intervento da parte delle autorità prefettizie e delle forze dell’ordine. Ma non solo operai. Gli slavi, siano essi sloveni o croati, sono l’altro grande nemico delle squadracce, che picchiano, distribuiscono generosamente l’olio di ricino, talora infoibano e compiono ogni tipo di vandalismo contro strutture e beni di cittadini di origine balcanica.
E così, al confine orientale lo squadrismo si ammanta di rivendicazioni nazionalistiche, al pari di quanto avviene nell’altra Venezia, quella Tridentina e nelle aree del confine alpino settentrionale. Se a Trieste arriva Giunta, a Trento, che Mussolini conosce bene per avervi soggiornato parecchi mesi prima della guerra ed aver collaborato con Cesare Battisti, la responsabilità di fondare un locale Fascio viene affidata ad un ex capitano dei Bersaglieri: Achille Starace. Ma chi è quest’individuo, che passa alla storia, non tanto per la sua rilevanza, quanto per il ridicolo del quale ricopre il regime?

Nato a Sannicola, in provincia di Lecce, il 18 agosto 1889, in una storica e ricca famiglia di armatori, fin da ragazzo Achille Starace dimostra un carattere violento e amante dei gesti più plateali. Rinuncia agli studi ed abbraccia invece la carriera militare che più si confà forse, come scrive Renzo De Felice, a quella sua relativa intelligenza che gli fa scambiare la forma per sostanza e lo spinge verso un gretto militarismo. Partecipa alla prima guerra mondiale e si batte con coraggio ottenendo, per il suo valore, una medaglia d’argento, quattro di bronzo e quattro croci al valore. Finito il conflitto e rientrato nella vita civile, Starace si avvicina presto al fascismo e, affascinato dalla personalità di Mussolini, ne diventa in breve un fedelissimo, incaricato perciò, insieme a Roberto Farinacci, di radicare il movimento nelle “terre redente” della Venezia Tridentina, ovvero le attuali province di Trento e Bolzano. Fin da subito Starace si impegna sul versante di una spinta italianizzazione, anche con il supporto di personaggi come l’ultranazionalista roveretano Ettore Tolomei. In una strenua lotta contro qualsiasi retaggio tedesco, si inquadra la tragedia della “Blutsonntag” – la “domenica di sangue” – del 24 aprile 1921, quando lo squadrismo guidato da Starace assalta la folla tirolese alla fiera campionaria di Bolzano, lasciando sulla strada sessantasei feriti ed il cadavere di un maestro elementare – Franz Innerhofer – colpevole solo di aver portato la sua scolaresca a quella manifestazione folkloristica.
Nell’ottobre seguente ed in occasione del congresso nazionale del Partito Fascista, Starace viene nominato vice-segretario nazionale. Un anno dopo – il 2 ottobre 1922 – è sempre lui che organizza le sue squadre e cala su Bolzano, occupando una scuola tedesca ed obbligando alle dimissioni l’on. Luigi Credaro, Commissario generale civile, accusato di essere troppo acquiescente nei confronti della popolazione di lingua tedesca. È la prova generale di quella “marcia su Roma”, alla quale anche Starace partecipa poche settimane dopo. Consolidato al potere il fascismo, nel 1923, Starace crea la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, una sorta di strumento poliziesco del Partito, adatto anche ad imbrigliare lo squadrismo dentro un alveo più istituzionale e controllabile, secondo il pensiero di Mussolini. Totalmente succube di quest’ultimo, Starace sale nella scala del potere e nel 1931 diventa Segretario nazionale del P.N.F, distinguendosi, in tale veste, per una serie di trovate originali che, anziché valorizzare gettano discredito sul regime: dal “saluto romano” a braccio teso, che sostituisce la stretta di mano, giudicata “una mollezza anglosassone” all’uso del “voi” al posto del più classico “lei” nelle conversazioni e nella corrispondenza; dall’italianizzazione anche ridicola di termini stranieri con “garage” che diventa “autorimessa”, “tennis” che diventa “pallacorda” e “cognac” che diventa il dannunziano “arzente”, alla promozione dell’orbace, una lana grezza di origine sarda che dovrebbe sostituire la lana d’importazione, dopo le “inique sanzioni”, volute dalla Società delle Nazioni contro l’ Italia, dopo l’invasione dell’Etiopia nel 1936, durante la quale, alla testa di una colonna di militi, occupa l’abitato di Gondar, esaltando poi il suo ruolo in un volume che ha un certo successo. La sua devozione verso il duce è totale ed intatta negli anni, al punto da meritargli il soprannome di “Claretto”, con il quale viene deriso dagli stessi fascisti per la sua mania delle parate, dei cerimoniali complicati e delle esibizioni ginniche, come il salto nel cerchio di fuoco dei gerarchi. Ma di lui ride anche il popolo, che così lo canzona: “Qui giace Starace/vestito di orbace/ di nulla capace/ requiescat in pace.” Nel 1939, allontanato dal P.N.F., per volere del duce, diviene capo di stato maggiore della M.V.S.N., partecipando alla campagna di Grecia, dove viene ferito, fino a quando Mussolini stesso lo priva di ogni incarico. Dopo il 25 luglio 1943 viene arrestato e poi rilasciato ed aderisce quindi alla Repubblica Sociale Italiana, anche se la sua emarginazione rimane assoluta. Il 29 aprile 1945, riconosciuto ed arrestato a Milano dai partigiani e sottoposto a un giudizio sommario, viene fucilato. Il cadavere è appeso, a testa in giù, a piazzale Loreto, fra le salme di Benito Mussolini e di Claretta Petacci.
In conclusione e tornando alla realtà locale, proprio le politiche di pesante nazionalismo italiano, che segnano soprattutto la prima fase dell’annessione della Venezia Tridentina, determinano un clima di diffidenza diffusa verso ogni cosa che abbia il sapore di italianità, mentre l’occupazione militare crea ulteriori ostilità. Su questo terreno poco fertile, lo squadrismo di Starace ed in genere il fascismo, faticano non poco a radicarsi, tanto che la maggior parte degli squadristi proviene dalle province di Verona e Mantova. Gli esiti di quelle scelleratezze, pesano ancora sulla storia di questa terra.
(2. continua; la precedente puntata è stata immessa in rete il 24 marzo 2023)