Se, come era solito dire il giornalista e scrittore Aldo Gorfer (1921-1996), “la storia è una meteora e gli uomini hanno la memoria corta”, compito di questo foglio liquido è anche quello di rinfrescare, a noi per primi, qualche pagina di storia. Di fare memoria e prendere spunto dagli avvenimenti di un tempo per capire il presente. La scuola ha abbandonato la storia e pure la geografia. E i risultati si vedono già adesso. Ecco perché siamo grati a Renzo Fracalossi, autore di testi teatrali, regista di teatro civile, scrittore e ricercatore di storia, per il viaggio nei cassetti della nostra storia recente (appena cento anni fa) con la quale probabilmente non abbiamo ancora fatto i conti.
Prende avvio un breve viaggio dentro ciò che accadeva in Italia esattamente cento anni or sono. 1922 – 1923 – 1924, sono gli anni che segnano la presa del potere da parte del fascismo e soprattutto della sua componente essenziale e forse più caratteristica e violenta, ovvero lo “squadrismo”. A distanza di un secolo e nell’auspicio di fornire qualche suggerimento, anche per ulteriori approfondimenti, proveremo a penetrare un fenomeno, tanto evocato quanto relativamente conosciuto, grazie alla cortese disponibilità delle pagine del “Trentino nuovo”, sempre attento al compito didattico della storia.
Alcune premesse sono necessarie.
Va anzitutto sottolineato infatti come, durante il ventennio del regime ed anche nel dopoguerra, gli stessi fascisti danno per scontata la convinzione che il fascismo non consista in una idea, al pari del nazionalismo, del futurismo, del combattentismo o del sindacalismo rivoluzionario e men che meno che il fascismo sia l’espressione forte del capitalismo che si difende. Si tratta senza dubbio di caratteri propri del movimentismo fascista prima e del regime poi, ma la componente costitutiva è certamente lo squadrismo.
Non è cioè l’ideologia, peraltro agli esordi un po’ confusa e carente di logiche coerenze e di chiari obiettivi, che porta all’affermazione di Mussolini, quanto piuttosto la sua personale capacità di interpretare e guidare le pulsioni anarco-rivoluzionarie che emergono, quasi spontaneamente, un po’ ovunque nel Paese, dopo la fine del primo conflitto mondiale e sull’onda dell’amarezza e del disincanto del reducismo, raccolto attorno al concetto dannunziano della “vittoria mutilata”.
Ancora nel 1921, per quei reduci che si ritrovano dietro l’epopea degli Arditi, Mussolini è solo e poco più del nome di uno dei leader da seguire con interesse, ma al quale quegli uomini non si sentono affatto legati da particolari vincoli di cameratismo e condivisione. È solo l’innata abilità politica e la spregiudicatezza totale del futuro duce che imbrigliano questi impulsi irrazionali e spesso brutali, asservendoli progressivamente al proprio progetto di conquista del potere.
Il 16 marzo 1919, duemila lavoratori della “Franchi – Gregorini” di Dalmine, nel bergamasco, occupano la fabbrica. È la prima grande esperienza di questo tipo nella vicenda complessiva del movimento operaio italiano. Dopo aver invano presentato le loro richieste – orario di otto ore, sabato semifestivo, minimi salariali e riconoscimento della rappresentanza sindacale – e dopo aver ricevuto la minaccia della serrata, da parte della direzione dello stabilimento, gli operai e gli impiegati si asserragliano dentro la struttura e annunciano il proseguo di una produzione autogestita. La sera successiva ben 1.500 soldati circondano la “Franchi – Gregorini” e gli occupanti escono quindi sotto le canne dei fucili. Solo un giornale nazionale dà conto degli avvenimenti e celebra con enfasi quel tentativo. Si tratta del “Popolo d’ Italia”, diretto da Benito Mussolini. Meno di un anno dopo, sarà lui a scatenare le squadracce contro altri operai che occupano altre fabbriche, diventando così il braccio armato e punitivo degli interessi industriali ed agrari.
Poco più di un mese dopo gli avvenimenti di Dalmine, il 15 aprile 1919 a Milano, il capitano in congedo degli Arditi, Ferruccio Vecchi ed il poeta Filippo Tommaso Marinetti, padre del futurismo italiano, guidano una spedizione che distrugge i locali, danneggia pesantemente le macchine tipografiche e brucia gli elenchi degli abbonati, dell’organo ufficiale del Partito Socialista Italiano: “Avanti!”. È la prima azione squadrista. Mussolini ne è estraneo, anche se osserva ammirato l’uso politico della forza bruta e ne apprende la lezione.
L’idea iniziale di “arruolare” ex combattenti e giovanissimi per dar vita a manifestazioni violente contro i socialisti e, in genere, le forze della sinistra parlamentare e sindacale, è di Ferruccio Vecchi che trova sostegno finanziario al suo progetto da parte di alcuni industriali e commercianti meneghini, spaventati dalla montante marea socialista. Dopo le prime azioni, Mussolini comprende perfettamente la forza dirompente di questo disegno e si avvicina quindi a Vecchi ed al movimento degli Arditi, che gli fornisce subito uomini per garantire la sicurezza della sede del suo giornale, di fronte al paventato rischio di rappresaglie dei “rossi” e di altri gruppi di ex combattenti di ispirazione socialista e marxista, rischio che peraltro non si è mai concretizzato.
Vecchi, anche per la sua formazione militare e per una indubbia dote di coraggio, è attrezzato per la guida dei manipoli di individui, assai spesso già ai limiti della legalità e della società e con essi presidia anche quel raduno di piazza San Sepolcro a Milano il 23 marzo 1919, che è considerato unanimemente l’atto di fondazione del fascismo. Esponente del cosiddetto “arditismo civile”, Ferruccio Vecchi viene incaricato da Mussolini di dar vita la Fascio di Bologna, ancora nell’aprile del ‘19 ed un anno dopo, egli fonda, con Mario Carli, l’“Associazione degli Arditi d’ Italia”. Propugnatore di un’idea rivoluzionaria e romantica, che mal si concilia con il nascente collateralismo dello squadrismo con le posizioni del grande capitale, Vecchi viene espulso nel 1921 dal Fasci di Combattimento e si ritira quindi a vita privata.
Ma l’esperimento di Vecchi viene subito assorbito da Mussolini che, ben presto, si pone alla guida politica dello squadrismo e trova i necessari aiuti finanziari per alimentare quelle che sono diventate ormai le sue squadre ed i suoi Fasci di Combattimento. E mentre in Lombardia ed in genere nel settentrione il fenomeno squadrista viene via via affermandosi, già nel 1919 ed in modo del tutto indipendente ed autonomo, i proprietari terrieri agrari di Cerignola, in Puglia, finanziano la nascita di un “Fascio di Rinnovamento cittadino”. Le due declinazioni del medesimo fenomeno, mirante e bloccare ogni avanzata del socialismo, si incrociano facilmente, innestandosi l’una sull’altra, al punto che taluni storici ritengono che il fascismo settentrionale altro non è, in certe sue tecniche, se non l’adozione di certe espressioni del malcontento sociale tipico del meridione. Si tratta forse di una interpretazione un po’ semplicistica, che però nulla toglie all’influenza che le esperienze del sud esercitano su Mussolini, fino a convincerlo che un fascismo solo urbano è decisamente troppo limitato per la scalata al potere, in un Paese ancora prevalentemente agricolo. Industria e latifondo diventano i punti di riferimento del primo fascismo squadrista e fonte di costante aiuto economico indispensabile per consentire la sopravvivenza di queste “milizie” e la progressiva affermazione della esagerata ambizione del maestro di Predappio e della sua brama di potere.
(1-continua)
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