Chi lo guarda, chi lo critica, chi lo “dorme” nel senso che lo utilizza come un sonnifero per passare dal dopocena al dopo-divano cioè direttamente al letto. Il Festival della canzone (?) italiana da qualche anno ha relegato le canzoni a intermezzi musicali tra altri richiami da palcoscenico. Ma Sanremo è Sanremo, come ripetono con martellante slogan promo-pubblicitario gli spot radiotelevisivi su e giù per la penisola. Sull’appuntamento del carnevale italiano Patrizia Belli non ha saputo resistere a dire la propria. Né noi a metterla on line.
Mi ero ripromessa di non scrivere nulla sul Festival di Sanremo (ma poi Sanremo si scrive attaccato o staccato: San Remo? Controllo e trovo che il Comune in base a un comma dello statuto 1992 indica un nome intero). Così come mi ero ripromessa di non scrivere nulla sul libro del principino Harry. Reduce dal bellissimo romanzo di Paolo Giordano “Tasmania” che è lo specchio di tutte le nostre paure e debolezze per una terra che stiamo distruggendo, mai avrei pensato di scrivere qualcosa su due argomenti che permettetemi ritengo futili. Ma da ogni dove del web non si parla che di loro e questo è un dato sintomatico del nostro tempo.
Allora, assolvo dal termine futile il reale inglese perché è stato bravo a usare i media per far soldi (per la cronaca il suo libro è primo in classifica e io nel mio piccolo non lo comprerò).
Ma sul Festival, su Benigni, sulla Ferragni e sul giovanotto che prende a calci i fiori qualcosa avrei da dire. La prima. Benigni. Mai ho sentito dai tanti politici che leggo quotidianamente, una dichiarazione d’amore sulla nostra Costituzione come l’altra sera. Mai. Che poi Benigni abbia citato l’articolo 21 della Costituzione, quello della libertà di stampa è stato un tuffo al cuore. Talvolta penso alla costituzione americana a quel diritto alla felicità che figura ai primi posti e lo trovo bello, ma il diritto al pensiero, all’opinione per me è ancor più fondante di un mondo che si dice civile. La felicità è personale, il diritto alla parola è universale ed è un grimaldello implacabile nel sovvertire le dittature del mondo.
E veniamo alla Ferragni. Confesso che non la seguo (altra generazione), ma so che è una straordinaria imprenditrice. So che si è fatta da sola. Innegabile la sua bellezza, ma certo la bellezza non basta per arrivare dove lei è arrivata. Leggo i tanti post sul vestito nonvestito (era disegnato sulle sue forme, mi dicono), sul fatto che avrebbe dovuto parlare delle donne e non tanto di sé bambina. Sarò contro corrente, ma questa giovane e ricca ragazza a cui la vita sembra avere dato tanto (un marito che la ama e due bellissimi bambini, oltre a fama e denaro) sul palco dell’Ariston con quel suo vestito che sembrava nuda, ha detto che le donne possono tutto e in quel tutto, in quella nudità volutamente esibita, non vi può essere il dispregio del maschio, né la sua cupidigia sessuale e tanto meno la scusa per uno stupro. Direi che non è poco.
Infine il giovanotto che prende a calci i fiori del palco, perché non gli arrivava il suono in cuffia. Ecco su di lui non ho parole di comprensione. Non so se lo ha fatto perché la scenetta (anche un po’ sgangherata di lui che prende a calci i vasi di fiori) era in scaletta (perché anche questo accade nel mondo dello spettacolo) semplicemente l’ho trovata un po’ triste. Il giovanotto ha solo 20 anni e non è ancora una star, ma anche se lo fosse, lo inviterei a comprendere che la lotta, la ribellione, la rabbia di chi sul palcoscenico un tempo spaccava tutto, era un urlo contro la guerra in Vietnam, un urlo per discriminazioni razziali, un urlo per l’ingiustizia di un mondo che permetteva grandi ricchezze e grandi povertà. Oggi quell’urlo si potrebbe declinare in un grande “No alle guerre” (per prima l’Ucraina), un grande “No al braccio di forza Usa e Russia”, un grande “No alla violenza”, che sia in Europa o in altri angoli del mondo.
E poi quell’urlo io lo trasformerei per farlo diventare una lacrima da donare alle vittime del terremoto in Siria. Non potrò mai dimenticare quei bambini che in pigiama uscivano dalle macerie, se per loro non abbiamo lacrime non ci possiamo considerare umani.
Ma non scordo nemmeno le miserie di casa mia: i clochard che dormono sotto il portone, i poveri sempre più poveri, gli anziani che con questo freddo tengono spento il riscaldamento perché non sanno come pagare le bollette, i giovani che con curriculum da paura non trovano un lavoro adeguato nel nostro paese e sono costretti ad andare all’estero e potrei continuare ma mi fermo qua.
Che dire? Ci sono cascata anch’io, ho scritto anche se mi ero ripromessa di non farlo, ma forse il luccichio di un festival della canzone può servire a farci riflettere e a trovare la giusta indignazione.