Conclusi gli eventi legati all’appuntamento di quest’anno con il “Giorno della Memoria”, forse è utile provare a tracciare un sommario bilancio. Una recente ricerca SWG (gennaio 2021) offre un quadro interessante sulla percezione del significato del “Giorno della Memoria” e sulla diffusione dell’antisemitismo in Italia. Va anzitutto sottolineato come, nell’arco di cinque o sei anni, è cresciuto il numero complessivo di coloro che vedono nell’atto del ricordo un argine democratico e culturale alle possibili derive antisemite. Ciò è testimoniato anche dalla crescita della preoccupazione reale dei nostri connazionali per la diffusione dell’antisemitismo.
Se nell’anno 2015 la percentuale era pari al 39%, nel 2021 essa è cresciuta fino alla misura del 55%; allo stesso modo, il 68% degli intervistati (su di un campione di oltre mille persone) vive con personale coinvolgimento il “Giorno della Memoria”, mentre solo il 9% giudica retorico quest’evento (nel 2017 invece era il 16% che esprimeva un simile giudizio) e solo il 5% lo giudica inutile (nel 2017 era il 9%).
Infine, se nel 2015 la percezione di un diffuso antisemitismo in Italia era avvertita dal 44% dei cittadini, nel 2021 quella percentuale cresce fino alla soglia del 55%, ovvero più della metà degli italiani ed è così suddivisa: 64% nell’elettorato del centrosinistra e 29% in quello di centrodestra, mentre rimane una fascia superiore al 40% di cittadini che non si esprime sulla questione o non sa o non si interessa.
Questo è il ritratto, per quanto possibile, delle percezioni, davanti ad un antisemitismo attivo ed allarmante. Nuove stigmate si aggiungono ai vecchi stereotipi antigiudaici, come quelli delle accuse di deicidio, di omicidio rituale, di usura e di illecito arricchimento, nella riscoperta del mito del complotto per il dominio del mondo. In tale contesto, gli ebrei vengono indicati come elementi infidi che corrompono, corrodono ed avvelenano i rapporti sociali, perseguendo un disegno di potere politico-cosmico.
Nelle scorse giornate e nelle relative celebrazioni, abbiamo sentito impegnative frasi istituzionale; testimonianza drammatiche quanto ultime; impegni solenni affinché non succeda “mai più” e anche dichiarazioni di ripudio delle leggi razziste del fascismo (peraltro senza alcuna presa di distanza dal regime e da tutti gli altri suoi misfatti), eppure non ci abbandona la sensazione che, con il tramonto del 27 gennaio anche i buoni propositi vengano riposti nel cassetto, in attesa di essere spolverati e ripresi in mano il prossimo anno, per altre dichiarazioni, frasi e impegni altisonanti. E mentre tutto ciò avviene, una quota maggioritaria della politica italiana, con assoluta noncuranza, continua a tessere rapporti con soggetti dichiaratamente antisemiti che popolano le destre europee
Il Trentino non è esente dai fenomeni in atto, anche se qui, probabilmente per l’assenza di una qualsiasi comunità ebraica, tutto appare più debole e sfumato. Ma non bisogna cadere nell’inganno, perché le reti social si insinuano ovunque e lasciano segni indelebili, soprattutto laddove le culture individuali e le capacità critiche del singolo risultano fragili ed esposte al rischio di manipolazione. Nulla insomma ci fa credere che questa terra sia uno spazio esente da pericoli ed è per tale ragione che le attenzioni debbono essere tenute costantemente in allerta.
Quest’anno, come peraltro avvenuto anche in passato, gli eventi sul territorio provinciale non sono affatto mancati. Magari con qualche confusione, come quella che ha visto per protagonista l’epica alpina della ritirata di Russia che, pur nella sua tragedia, poco ha a che vedere con la Shoah o con qualche pesante scivolone di sensibilità, come quello del “festival della Memoria” che ha fatto storcere il naso a più d’uno e non solo per la definizione leggera di “festival” adattata ad una tragedia immane, ma anche per l’accurata assenza di riferimenti chiari e precisi al nazismo ed al fascismo. Che sia il nuovo corso culturale nazionale? Che sia “semplice” distrazione e leggerezza degli organizzatori? Che sia manifestazione dei nuovi “linguaggi della modernità”? Ciò nulla toglie al fatto che il “festival” qualche dubbio l’ha pur sollevato, senza peraltro voler mettere in discussione la buona fede e gli obiettivi formativi che il progetto si è posto.
Ma la messe di iniziative realizzate pone in evidenza anche un altro rischio incombente, quello cioè del “riduzionismo”.
Se infatti si riduce la Memoria della Shoah sempre e solo al pur enorme ed indicibile dramma di Auschwitz, al commovente diario di Anne Frank o alla “banalità del male” di Eichmann, oppure all’immagine del “tedesco cattivo” e di tutti gli altri alleati di Hitler dipinti solo come irresponsabili “vittime della storia, si rischia di veicolare un messaggio appunto ridotto, circoscritto e, per alcuni versi assolutorio rispetto ai milioni di complici, di volonterosi carnefici e di indifferenti testimoni che affollarono le contrade dell’Europa sotto il tallone nazifascista. Forse uno sforzo di indagine, per aprire lo sguardo su tutto l’immenso universo del male racchiuso nel sistema concentrazionario, ma anche nei crimini di guerra e nell’antisemitismo di italiani, francesi, belgi, olandesi, rumeni, polacchi e ungheresi potrebbe aiutare a meglio comprendere e a definire anche le radici e i contorni della moderna ripresa dell’antisemitismo in Europa.
Si tratta di una sfida interessante almeno per tutti coloro che reputano importante fare Memoria viva, continua ed esaustiva, per oltrepassare il muro dell’indifferenza. È di questa Memoria che avvertiamo l’urgente necessità, affinché l’oblio non copra l’urlo che ancora esce da Mauthausen, Sachesenhausen, Treblinka, San Sabba, Majdanek, Chelmno, Dachau, Neunegamme…