Il 27 gennaio ricorre il “giorno della memoria”. Il ricordo di quella spaventosa sciagura della storia del XX secolo, il “secolo breve”, che fu la Shoah. Lo sterminio di un popolo, sei milioni esseri umani “colpevoli” solo di professare la religione di Abramo. E la morte di migliaia di uomini e donne considerati “diversi”: ebrei, omosessuali, Rom e Sinti, Testimoni di Geova, portatori di handicap. Un olocausto del quale, fin che ne resterà la memoria, porterà le colpe la Germania di Hitler, l’Italia di Mussolini, la Francia di Pétain… Tutti coloro che contribuirono a massacrare esseri inermi, a torturare gli innocenti, a far trionfare la disumanità. Ecco perché è necessario “fare memoria”, anno dopo anno, giorno dopo giorno. E se lo sguardo generale del 27 gennaio è puntato sul campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia, preso a simbolo della Shoah (che vuol dire catastrofe, disastro, distruzione), Renzo Fracalossi recupera tre “storie” poco conosciute o dimenticate: il collaborazionismo antisemita della stilista francese Coco Chanel; l’eroismo coraggioso di ladri e prostitute nella Roma occupata dai Nazisti; il diario di una ragazzina ebrea-polacca quattordicenne, Rutka Laskier. Ecco il primo “cammeo”.
(1) – La vendetta antisemita di Coco Chanel
“Non sono una sarta, ma una creatrice di moda. Per prima cosa io non disegno, non ho mai disegnato un vestito. Scolpisco il modello, più che disegnarlo. Prendo la stoffa e taglio. Poi la appiccico con gli spilli su di un manichino e, se va, qualcuno la cuce. Se non va, la scucio e poi la ritaglio. In tutta sincerità, non so nemmeno cucire.”
L’autrice di queste strane affermazioni è Gabrielle Bonheur Chanel, meglio nota come Coco Chanel, forse la più celebre stilista francese, colei che ha rivoluzionato il concetto di femminilità, ha imposto la figura fondamentale del “fashion design” ed ha fondato una casa di moda che porta ancora il suo nome.
Nata a Saumur in una famiglia poverissima il 19 agosto 1883, viene in breve affidata alle suore, dove apprende i rudimenti del cucito ed impara il gusto per il bianco, il nero e l’austerità. A diciotto anni trova lavoro come commessa presso la “Maison Grampaye” e la sera si esibisce in un vicino caffè-concerto, dove incontra il primo di una nutrita serie di amanti: Etiènne de Balsan, ricco figlio di imprenditori tessili. Coco va ad abitare con lui ed un’altra sua amante nel castello di famiglia. Lei è divorata però dalla voglia di creare e così, de Balsan finanzia un primo esperimento di modisteria. È il 1909. Cappellini semplici, ornati di fiori di raso ed in netto contrasto con i sontuosi cappelli femminili dell’epoca, che riscuotono successo presso le amicizie altolocate del suo amante.
Nel castello dei de Balsan è spesso ospite un industriale inglese di Newcastle: Boy Capel. Ben presto Coco se ne innamora e i due vanno a vivere a Parigi, dove egli finanzia la prima boutique della stilista. Nel 1912 le vendite crescono e l’anno dopo apre un nuovo negozio nella località balneare di Deauville, dove può dare nuovo sfogo alla propria creatività, offrendo all’abbigliamento quella praticità che la “Belle Époque” impone alla moda.
Prima dello scoppio della guerra e durante la stessa, la “Chanel Modes” di Deauville diventa meta preferita dell’alta borghesia. Quello di Coco è l’unico negozio che vende abiti comodi, pratici e adatti alle esigenze della modernità. In breve, le attività si allargano e, nel 1917, sono ben cinque i laboratori di sartoria e oltre trecento le sarte che lavorano per lei, che adesso serve la clientela spagnola più raffinata ed introduce un nuovo tessuto: il jersey.
A guerra finita Coco è un’imprenditrice di successo e grazie ad una pianista polacca, Misia Sert, riesce ad entrare nel grande giro degli intellettuali e degli artisti, divenendo amica di personaggi come Pablo Picasso, Igor Stravinskij e Paul Morand. Nel 1919 muore il suo amante Boy Capel in un incidente stradale e Coco si butta a capofitto nel lavoro, lanciando anche la moda del capello corto. Frequenta, nel frattempo, il duca di Westminster e impara l’uso del tweed scozzese in sartoria, finché, nel 1926, rivoluziona ancora la moda, introducendo il famoso “tubino nero” e proseguendo sulla via del successo. Ormai la “Maison Chanel” è un marchio di qualità straordinaria, con le due lettere CC intrecciate, anche in virtù del successo di un profumo – “Chanel n.5” – che Coco produce grazie alla conoscenza del granduca russo Dmitrij Pavlovic, del quale diventa l’amante e che le presenta il profumiere dello zar. È dalla collaborazione con quest’ultimo che nasce “Chanel n. 5”: un successo perché “odora di donna, perché una donna deve odorare di donna e non di rosa.”
Nel 1924, Coco Chanel entra in società con due fratelli ebrei, Paul e Pierre Wertheimer, grandi produttori di profumi e prodotti di cosmesi che acquistano i diritti sulla produzione dei prodotti di bellezza con il marchio “Chanel”. In seguito all’enorme successo del profumo però, Coco rivendica nuovi diritti sullo stesso. Le azioni legali si protraggono per anni, senza che lei ottenga però nulla più del 10% del profitto, come stabilito dal contratto iniziale. Questo conflitto la spinge verso un accentuato antisemitismo, già radicato probabilmente durante il periodo di formazione presso le suore.
Chanel veste la donna nuova del Novecento; porta la gonna sotto il ginocchio; abbassa il punto-vita; promuove lo stile “alla marinara” ed introduce i pantaloni femminili. Disegna anche gioielli e perfino costumi per il teatro. Dopo le difficoltà della “Depressione” del 1929 apre una nuova “Maison” a Parigi che arriva a contare 20 mila dipendenti, 34 profumerie e che realizza 28 mila modelli all’anno. Nel frattempo ha trovato un nuovo amante nell’artista basco Paul Iribe che muore nel 1935, lasciando Coco inconsolabile e preda di farmaci per dormire, dai quali non riuscirà più a liberarsi.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale impone di chiudere la “Maison”. Quattromila donne si trovano senza lavoro, ma a Coco importa nulla. Lei è ricchissima e conduce una vita di lusso, alloggiando al Grand Hotel Ritz nella Parigi, occupata dai tedeschi, dove conosce un affascinante ufficiale delle SS: il barone Hans Günther von Dincklage, che dopo poco lascia, per i favori del suo superiore e cioè il generale Walther Schellenberg, vice-comandante della Gestapo e responsabile del controspionaggio dei Servizi di Sicurezza delle SS.
Schellenberg è un uomo colto, ma è anche privo di scrupoli e di moralità. Molto vicino a Reinhardt Heydrich e quindi ad Himmler, fa una rapida carriera nelle SS fino a dirigere il controspionaggio, anche sfruttando una nota casa d’appuntamenti berlinese: Salon Kitty.
Coco, finita fra le sue lenzuola, ritiene di poter sfruttare la situazione per rifarsi dei fratelli Wertheimer. Lei, profondamente anticomunista, ha sempre disprezzato gli ebrei, ritenendoli una minaccia per l’Europa a causa dei supposti legami con il bolscevismo russo e adesso le sembra giunto il tempo per ritornare in possesso della “sua” profumeria. I Wertheimer però, prima di fuggire all’estero, hanno già ceduto la proprietà all’“ariano” Felix Amiot che fornisce anche materiale bellico ai tedeschi. Miseramente la vendetta di Coco fallisce. Nel frattempo, la guerra sta volgendo al peggio e Schellenberg, con Himmler consenziente, ritiene di poter usare Coco come contatto con gli inglesi, visti i suoi molti agganci oltre Manica, per una eventuale trattativa di armistizio. La donna accetta e si reca in Spagna con una sua accompagnatrice: Vera Lombardi che però è una “resistente” e la denuncia al controspionaggio britannico. Le Forze Francesi di Liberazione arrestano quindi Coco Chanel per attività di spionaggio, un’accusa che, generalmente, porta alla fucilazione. Eppure la fortuna assiste la stilista la quale, dopo un interrogatorio di tre ore, viene rilasciata e fugge in Svizzera, dove ritrova il barone von Dincklage e con lui rimane in esilio fino al 1953, per poi trasferirsi a New York. L’anno seguente ritorna a Parigi e riapre la sua “Maison”, anche inventando un nuovo accessorio: la “borsetta Chanel 2.55”. Negli anni seguenti passa da un successo all’altro, fino a quando la morte la coglie all’età di 87 anni, il 10 gennaio 1971, nelle stanze del Grand Hotel Ritz.
“Vestiti male e ricorderanno il vestito; vestiti impeccabile e ricorderanno la donna”. Così Chanel ha definito la moda e per questo il mondo l’ha celebrata. Forse però, ripensando alle sue frequentazioni naziste ed al suo acceso antisemitismo, dovrebbe essere ricordata anche per qualcos’altro di ben più importante, tragico e odioso, delle frivolezze di profumi e moda.