Il via libera da parte della Comunità Europea all’utilizzo della farina di grilli ha solleticato la fantasia ed abbozzato una storiella che potrebbe far riflettere su quanto siamo debitori degli animali anche nei nostri modi di dire o di descrivere la vita degli umani.
“Sarebbe anche un bravo ragazzo, ma ha troppi grilli per la testa”. Così, si diceva una volta, di chi all’operosità della formica preferiva l’ozio della cicala. E l’insegnante arcigno che faceva il “grillo parlante” ammoniva lo scapestrato di turno. Gli ricordava che “chi dorme (sui libri) non piglia pesci”. Ma lo studente (s)modello preferiva “menare il can per l’aia” anche perché conscio che “can che abbaia non morde”. Quanto a lui, che non andava “a letto con le galline”, raccontava a casa di “essere a cavallo”. Un amico gli aveva presentato una “gallina dalle uova d’oro”. Pareva “un’oca giuliva”. Di certo, era la ricca figlia di un mercante. Quello che si diceva un buon partito (no, il PD proprio non c’entra). Tuttavia, quando il nostro si era presentato a casa dell’avvenente fanciulla, s’era sentito dire dalla governante: “Qui non c’è trippa per gatti”. Si sa, “il lupo perde il pelo ma non il vizio” ed il nostro fancazzista si era fiondato tra i tavolini dell’aperitivo serale come “un elefante in un negozio di cristalleria”.
Adocchiata una (s)fortunata di turno e non “sapendo che pesci pigliare”, “come un cane che si morde la coda” sparava una cazzata dietro l’altra e “faceva le pulci” ad ogni avance dei concorrenti. Con nonchalance metteva “la pulce nell’orecchio” dell’auspicata preda, la quale, per “tagliare la testa al toro” diceva di non avere interesse alle attenzioni morbose del giovanotto. Certo, gli aveva sorriso, ma “una rondine non fa primavera” ed era buona creanza “non mettere il carro davanti ai buoi”. Insomma, stava “prendendo lucciole per lanterne”.
Così, il nostro, per “salvare capra e cavoli” e portare a casa il reddito di sostanza che sarebbe derivato da una, per lui, auspicabile liason, “fatte orecchie da mercante” al diniego della fanciulla s’era deciso a “sputare il rospo”. Si era innamorato, causa colpo di fulmine, ed avrebbe accondisceso ad accompagnarla al ristorante. Dove proponevano (recente decisione della Comunità europea) un menù con farina di grilli. Eh no, questo proprio no. Così, il giovanotto, che si diceva “fortunato come un cane in chiesa”, dopo aver “menato il can per l’aia”, s’era trovato senza cena (sia pure di grilli fritti) e senza chi ne pagasse il conto. Preso a “pesci in faccia” era tornato verso casa come “un cane bastonato”. Pronto a ripartire con la caccia al patrimonio (altrui). Intanto avrebbe imparato a memoria quella filastrocca-indovinello di Giovanni Prati (1814-1884) che l’insegnante gli aveva raccomandato: “Son piccin, cornuto e bruno/ me ne sto fra l’erbe e i fior; / sotto un giunco o sotto un pruno / la mia casa è da signor./ Non è d’oro né d’argento, / ma rotonda e fonda ell’è: / terra è il tetto e il pavimento, / e vi albergo come un re… […] So che il cantico di un grillo / è una gocciola nel mar, / ma son mesto s’io non trillo: / deh! lasciatemi cantar”.
Il Golem
A questo divertissement hanno fatto seguito vari suggerimenti. Roswita, dalla val di Fiemme scrive: “Ma che bel sto articol. “Son contenta come ‘na caora molzuda”. Pier Dal Ri, aggiunge altri detti presi in prestito dal regno zoologico: “Nar a bis a boa” (viaggiare come una lumaca); “no tirar for en ragn dal bus” (non guadagnare nulla); “soldi fa soldi e pioci fa pioci”; “sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa”; “menar la mussa al mas-cio”, “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”; “fare il tardo tordo e il merlo maschio”; “furbo come una volpe e muto come un pesce”, “occhio da triglia” e “grigio topo”.