Il Mart di Rovereto ha ospitato nel periodo natalizio un convegno sulla figura di Eusebio Chini, il missionario gesuita, geografo ed esploratore, nativo di Segno in valle di Non e vissuto dal 1645 al 1711. Con l’occasione è stata presentata una tela che l’artista Luigi Ballarin ha dedicato all’esploratore anauniese, dal titolo: “Il Natale di padre Kino”. Il convegno è stato promosso dalla associazione “Trentini nel mondo” e dalla associazione culturale “P. Eusebio Chini” di Segno. Intanto, dagli Stati Uniti dove è nato e dove vive, il “tirolese-mericàn” Louis Brunelli ha inviato la traduzione del suo articolo pubblicato sul numero 27 della rivista “El Filò” da lui fondata e diretta.

Negli ultimi anni, noi americani ci siamo confrontati con le atrocità storiche commesse ai danni dei popoli indigeni sia nel Nord che nel Sud America dal nostro stesso Paese e da altre potenze coloniali europee. In questo contesto, in questa storia triste e spregevole, il nostro conterraneo tirolese Eusebio Chini ha avuto un ruolo unico e singolare. Pur essendo un uomo del suo tempo, era in anticipo nel suo rapporto con gli indigeni del sud-ovest e del nord del Messico. Per comprendere e apprezzare il suo singolare contributo, dobbiamo riassumere il periodo delle scoperte di nuovi territori da parte dell’Europa e la sua visione del mondo. Conosciuta come età dell’esplorazione e, talvolta, chiamata “età della scoperta” cominciò al principio del XV secolo e durò fino al XVII secolo. In quel periodo della storia europea furono compiuti numerosi viaggi di esplorazione oltre mare. Religione, curiosità scientifica e culturale, economia, dominio imperiale e ricchezza furono le ragioni che mossero le esplorazioni. Allo stesso tempo, la Chiesa cattolica era impegnata in un grande sforzo per diffondere il cristianesimo in tutto il mondo.
La Chiesa a quel tempo era un potere temporale paritetico nell’ambito dei principati europei. Papa Alessandro VI Borgia, nato in Spagna, identificato con la Spagna, aveva diramato alcune bolle papali che si sono proposte come la “Dottrina della Scoperta”. Tale dottrina conteneva elementi insidiosi: il concetto di “terra nullius” e il “principio regale”. Terra nullius postulava che le terre appena scoperte fossero terre di nessuno, “terra di nessuno” e pertanto potevano essere occupate e conquistate. Quindi, per definizione e comprensione, anche le popolazioni indigene erano considerate “nessuno”. Il principio regale affermava che tali conquiste e occupazioni appartenevano al re e all’autorità del monarca dei conquistatori. Quindi, si sviluppò il “diritto alla scoperta” che si trasformò nella “dottrina della scoperta”.
La “dottrina della scoperta” ha fornito un alibi gli esploratori cristiani per rivendicare territori disabitati in nome del loro sovrano. Nell’ambito della “dottrina”, i popoli indigeni delle Americhe erano considerati non umani. Quando Cristoforo Colombo arrivò nel 1492, si stima che le Americhe fossero effettivamente occupate da cento milioni di Indigeni – rappresentavano circa un quinto della razza umana a quel tempo – i quali vivevano sulla terraferma da tempo immemorabile. Poiché non erano cristiani quella era considerata “terra di nessuno”.
Inoltre, c’era la convinzione che la Chiesa cattolica fosse l’unica via di salvezza, convinzione che fu radicalmente cambiata in virtù dei documenti del Concilio Vaticano II. Le stesse credenze alimentarono il massacro di quei seguaci dell’Islam durante le Crociate. Quei principi cristiani del XV secolo sono stati denunciati come la radice “vergognosa” di tutte le discriminazioni e l’emarginazione che i popoli indigeni devono affrontare ancor oggi.
In questo contesto arriva Eusebio Chini, dalla Val di Non, gesuita e matematico, richiesto da ogni principe d’Europa per le proprie università. Desideroso di essere inviato in Cina con il confratello gesuita e cugino Martino Martini (1614-1661), fondatore della geografia cinese, viene inviato invece nel primitivo sud-ovest e nord del Messico, la “Nuova Spagna”, dominio del re di Spagna. Una terra di nessuno da “convertire” secondo le indicazioni “dottrinali” pontificie relative ai territori “non cristiani”. Pur essendo fondamentalmente un prete-missionario, diventa un cartografo, astronomo, esploratore e agronomo riconosciuto in tutto il mondo. Queste stesse parole sono scolpite alla base della statua equestre che gli è stata dedicata nella Statuary Hall del Campidoglio a Washington dove è riconosciuto come il Padre e Fondatore dell’Arizona. Mentre questi risultati scientifici sono singolari e spettacolari, la sua comprensione, il trattamento e le realizzazioni con e per le popolazioni indigene di quei tempi sono ancora più notevoli e singolari. Eusebio Chini fu il primo a portare il Vangelo in quella regione percorrendo migliaia di chilometri con i suoi due cavalli nei vasti territori del sud-ovest. Era indicato come il “padre a cavallo”. Ben presto si convinse della necessità di migliorare le condizioni di vita degli indigeni. Insegnò l’allevamento del bestiame, i metodi agricoli e la lavorazione del ferro e promosse lo sviluppo economico del popolo Pima nello stato di Sonora, nel nord del Messico. “Sul piano sociale, promuoveva la dignità del popolo indigeno e si opponeva al lavoro forzato nelle miniere d’argento – svolto in condizioni quasi impossibili – che la monarchia spagnola imponeva agli ‘indiani’. Ciò provocò anche grandi polemiche tra i suoi co-missionari, molti dei quali agirono secondo le leggi imposte dalla Spagna sul loro territorio. Come parte del suo lavoro, Chini era un abile costruttore, agricoltore e allevatore di bestiame. Ha introdotto cavalli, bovini e altri animali da branco e la coltivazione di frutta e grano del Vecchio Mondo in Arizona. Sotto la sua istruzione i nativi impararono rapidamente nuove pratiche agricole che stabilizzarono il loro approvvigionamento alimentare. Con le sue parole nei rapporti ufficiali ai suoi superiori e con le sue azioni nel suo lavoro Chini ha espresso la sua convinzione che l’impegno missionario inizia con il rispetto per le popolazioni indigene e il miglioramento fisico della loro esistenza.
Padre Chini era anche un diplomatico di frontiera che promuoveva la pace tra le tribù in guerra che incontrava, tra gli indigeni e i militari spagnoli. Chiedeva che i militari e i coloni spagnoli rispettassero i nativi come loro simili. Prima del suo arrivo nella Pimeria, “Kino”, come era chiamato, aveva ottenuto un decreto dal re di Spagna, Carlo II, che proibiva agli indigeni di essere ridotti in schiavitù per lavorare nelle miniere e nelle “haciendas” spagnole. Difese i nativi dalle pretese dei potenti che bramavano le loro terre e il loro lavoro e che tentarono incessantemente di minare i suoi sforzi missionari fino all’ultimo.
In tempi recenti, le ombre e i ricordi del passato sono stati riesumati per sostenere, indirettamente ma con decisione, la storica difesa di Chini per gli indigeni. È accaduto in occasione della visita di papa Francesco negli Stati Uniti (settembre 2015). Si era impegnato a canonizzare a Washinton, Junipero Sera (1713-1784), il francescano spagnolo, il cui apostolato si svolse principalmente in California. I nostri nativi americani hanno protestato con forza contro questa canonizzazione. La loro comunità e i loro anziani ricordavano, infatti, quanto fossero stati trattati male dai francescani spagnoli, fedeli al re di Spagna e alla “dottrina della scoperta” che li rendeva schiavi per lavorare nelle miniere d’argento e nelle “haciendas”.
Al contrario, quando Eusebio Chini è stato dichiarato “venerabile”, passaggio preliminare alla auspicata beatificazione e alla canonizzazione, ci sono stati solo applausi per il nostro conterraneo tirolese, veramente nostro fratello.
Mons. Thomas J. Olmsted, vescovo della diocesi di Phoenix, ha accolto con entusiasmo la notizia: “La presenza della Chiesa cattolica in Arizona è sinonimo della crescita dello Stato dell’Arizona e padre Chini è una delle figure fondamentali di quella grande storia”.