Un’eroina sconosciuta nel Cile della dittatura di Pinochet. La figura di Valeria Valentin, nata in Alto Adige, divenuta suora e poi uscita dalla congregazione religiosa, si propone come una figura gigantesca nella testimonianza pratica di un cristianesimo vissuto e concreto. A cinquant’anni dal golpe cileno (11 settembre 1973) vissuto, loro malgrado, anche da decine di trentini emigrati nel 1951-1952, Renzo Fracalossi ne disvela la figura ai lettori di iltrentinonuovo.it
Se la Memoria non è un ingombro fastidioso, essa disvela al nostro sguardo ricordi e vicende che insegnano valori ed aiutano a sperare, affinché dopo la notte sorga un’alba nuova. Giovanni Battista Pastene è un navigatore italiano che, al soldo dei re di Spagna, nel XVI secolo partecipa attivamente, nelle vesti di ammiraglio di una flotta spagnola, alla conquista del Cile. Navigando lungo la costa oceanica, Pastene, con i suoi marinai quasi tutti italiani, giunge casualmente in un luogo di straordinaria bellezza, che viene subito appellato come “Valle del Paradiso”: in lingua spagnola, “Valparaìso”. In breve la località viene colonizzata e nel 1536 Juan de Saavedra fonda l’omonima città, luogo di commerci e scambi sulle rotte del Pacifico. Saccheggiata più volte da corsari inglesi e olandesi, viene anche devastata ripetutamente da forti terremoti, soprattutto nel 1730 e nel 1928. Ogni volta però Valparaìso si rialza, viene ricostruita e la vita riprende.
Proprio in quella città, il 25 novembre 1915 nasce Augusto Josè Ramon Pinochet Ugarte, rampollo di una famiglia di medici ed imprenditori agricoli di antica origine bretone. Frequentate le scuole primarie e secondarie in seminario, all’età di 17 anni il ragazzo entra nella Scuola militare e, dopo quattro anni, si diploma con il grado di “Alfèrez” (alfiere). Comincia così una brillante carriera militare. Nel gennaio del 1943, si sposa con Lucia Hiriart Rodriguez, con la quale mette al mondo cinque figli.
Nel 1948, Pinochet entra all’ Accademia di Guerra, dove diventa ufficiale di Stato maggiore, alternando periodi di insegnamento a comandi operativi, fino a quando il 23 agosto 1973 diventa comandante in capo dell’esercito cileno, anche perchè ritenuto “vicino” al governo in carica e presieduto da Salvador Allende, primo esponente marxista eletto democraticamente in Sud America.
Il governo di Allende si pone come obiettivo la lotta alla povertà endemica del Cile, attraverso una politica di progressiva nazionalizzazione delle risorse e delle materie prime, fino a questo momento saldamente in mano alle multinazionali statunitensi ed ai grandi latifondisti del paese. Sono scelte radicali che alimentano un odio profondo nei confronti di Allende e, più in generale, dell’intero pensiero socialista latino-americano; scelte che attirano sul capo di Allende anche l’ira degli Stati Uniti e del presidente Nixon che, attraverso l’agire clandestino della C.I.A., finanzia dapprima qualsiasi attività di prevenzione e di opposizione ad Allende e poi, dopo le elezioni, ogni azione volta a destabilizzare il nuovo governo ed a sostenere un progetto di “colpo di Stato”, messo in campo dalle Forze armate, secondo la migliore tradizione golpista.
Nemmeno un mese dopo la nomina di Pinochet, l’11 settembre 1973, i vertici militari cileni mettono in atto il “colpo di Stato”, preparato da tempo e che culmina con la morte del presidente Allende, armi in pugno, durante la difesa della sede presidenziale: il “Palacio de La Moneda”.
Arrivati al potere, i generali che compongono la Giunta militare governano con il pugno di ferro, usando sistematicamente la tortura, gli arresti indiscriminati, il terrore e la violenza, spingendo in tal modo molti a fuggire in esilio, come nel caso dello scrittore Luis Sepùlveda. L’obiettivo è frantumare e sbriciolare l’opposizione socialista e, più in generale di sinistra, in tutto il Cile, procedendo all’arresto di oltre 130 mila persone giudicate pericolose, nell’arco dei primi tre anni del regime. In migliaia fuggono, per sottrarsi alla carneficina, ma non è facile. Serve aiuto, assistenza e coraggio, ma anche collaborazioni, risorse e soprattutto impegno individuale e collettivo ed è proprio in tutto questo che emerge la figura di ex una suora, pronta in quei giorni terribili a salvare vite, in nome dei valori del cristianesimo e della lezione evangelica.
Quella donna, nata nel 1937 in val Badia e tornata a Dio, nel 2002, a Rodengo, in val Pusteria, è una eroina tanto importante, quanto sconosciuta e la sua vicenda giunge fino a noi, grazie al prezioso lavoro di ricerca svolto dal giornalista Paolo Tessadri e dalla “Fondazione Museo Storico del Trentino” che, negli anni scorsi, hanno realizzato un pregevole documentario sulla vita e le attività di Valeria Valentin.
Si tratta di una ragazza serena, con una forte personalità e un profondissimo senso della giustizia. Veste l’abito talare e parte per il Cile con altri tre missionari, allo scopo di conoscere e condividere la vita dei poveri nella baraccopoli di Santiago del Cile. Una vita ai margini e vissuta con Carlo Pizzinini, un frate che si batte per gli stessi ideali di Valeria. Ciò che trovano è più della miseria; è la povertà in ogni sua forma; è la negazione dell’umanità e della dignità. Valeria e Carlo vivono un dramma profondo e che li porta anche all’abbandono degli abiti ecclesiastici e ad iniziare insieme un percorso laico di vita e di comunione, che approda nel matrimonio.
È in questo clima che, dopo il golpe di Pinochet, Valeria e Carlo avvertono il dovere, anzitutto morale ancor prima che materiale, di aiutare, sostenere e solidarizzare con gli oppressi. Costituiscono così un gruppo clandestino che ha per scopo appunto la salvezza e l’espatrio degli oppositori di Pinochet, anche grazie alla collaborazione di molte Ambasciate e, in particolar modo, di quelle italiana e svedese. Ogni giorno si rischia la vita, perché i soldati sparano senza alcun scrupolo. Sparano su tutto ciò che potrebbe essere pericoloso, ivi compresi vecchi inermi e bambini, ma anche il prete spagnolo Juan Alsina. Sparano su amici di Valeria e su cittadini sconosciuti, ottenendo, anziché il ripiegamento nella paura, lo sviluppo di un coraggio straordinario.
Nel frattempo, Valeria è diventata anche la segretaria personale del vescovo Fernando Aritzià – il cosiddetto “vescovo rosso” – e, ricoprendo tale ruolo, riesce a dar vita ad una vera e propria rete clandestina, con l’appoggio della Chiesa e di figure come quelle di don Mariano Puga e del cardinale Silva Enriques. Divisa nettamente in due blocchi distinti, la Chiesa cattolica, con il golpe militare, da un lato si schiera in larga parte con coloro che, come il Nunzio apostolico Dos Santos, appoggiano la “giunta militare” soprattutto in nome dell’anticomunismo e dall’altro con quanti decidono di stare al fianco dell’opposizione e delle vittime.
Valeria Valentin sta al Cile di Pinochet, come Giorgio Perlasca sta all’Ungheria di Eichmann: due individui semplici e normali che, ad un certo punto, avvertono il dovere di alzarsi in piedi di fronte all’orrore, per dire dell’umanità.
L’attività clandestina di Valeria Valentin cresce e si sviluppa rapidamente e ciò la spinge sotto i riflettori Servizi di Sicurezza cileni, che l’arrestano una prima volta, sottoponendola ad un estenuante interrogatorio volto anche a capire le tecniche usate per far fuggire i ricercati. Nascosti dapprima in case “compiacenti”, negli ospedali o nei conventi, di notte i fuggiaschi raggiungono le ambasciate ed oltrepassano in mille modi le mura di recinzione. A quel punto sono in salvo. Sono oltre quattrocento, in quasi quattro anni di attività, i “Salvati” da Valeria e Carlo, grazie all’ estesa rete di assistenza nelle varie Ambasciate. Valeria però non parla, non svela nulla, finge di non capire e con il suo silenzio salva altre vite ed altre speranze. Rilasciata riprende il suo impegno umanitario, fino a quando viene arrestata nuovamente. Il vescovo Aritzià, consapevole della sorte che attende la sua segretaria, sollecita un intervento del cardinale Silva Enriques che telefona personalmente a Pinochet, minacciando una crisi diplomatica ed affermando coraggiosamente che la donna “ha agito nel nome della Chiesa”. Pinochet cede per la “ragion di Stato” – ed è uno dei rari casi – ma Valeria è costretta a lasciare definitivamente il Cile. Nel 1978, rientra in Italia con suo marito ed il figlio Andres, stabilendosi in Alto-Adige e riprendendo le fila di una vita normale, senza clamori e senza alcun riconoscimento, come solo gli eroi “quotidiani” sanno fare.
L’11 marzo 1990, dopo un plebiscito in cui il 55% dei votanti rifiuta il regime di Pinochet e chiede libere elezioni. Il regno del terrore cileno crolla, così come sono crollati fascismo, nazismo e comunismo e il vecchio generale si dimette da presidente di una repubblica che, faticosamente, prova a ritornare sulla via della democrazia e della libertà.
Raccontare oggi la storia di Valeria Valentin, che tanto assomiglia alle epopee dei “Giusti fra le Nazioni”, potrebbe sembrare un inutile rimestare nel passato; un atto di mera cronaca, mentre invece è il trionfo della normalità che, in nome dell’Uomo, sa farsi straordinarietà. Si tratta di una lezione ben più preziosa delle date della battaglia di Canne, che sono però più comode e meno obbliganti. Nel frattempo oblio ed egoismo continuano ad addormentare le coscienze, fino a soffocarle.Ieri in Cile, oggi in Ucraina e domani?