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    Home»Lettera dall'Africa»I medici trentini “con” l’Africa
    Lettera dall'Africa

    I medici trentini “con” l’Africa

    redazioneBy redazione20 Novembre 2022Nessun commento6 Minuti di lettura
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    la dott. Alberta Valente neonatologa che ha lavorato anche a Trento
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    Medici “con” l’Africa e, per qualche ora, pure “con” papa Francesco, a Roma. L’associazione, fondata nel 1950 dal medico e chirurgo padovano Francesco Canova (1908-1998), missionario laico in Africa e precursore del volontariato internazionale, ha celebrato sabato 19 novembre il meeting annuale a Roma. Vi hanno partecipato anche un centinaio di sanitari e associati al CUAMM della sezione trentina.

    In Trentino i medici e i volontari di Cuamm (Collegio universitario aspiranti medici missionari) sono un’ottantina. Il pediatra di Pergine, il dr. Carmelo Fanelli, che ha all’attivo numerose trasferte in Africa, spiega che, in trent’anni, (la sezione trentina fu avviata il 13 novembre 1993) “l’associazione ha maturato una profonda conoscenza del contesto africano e dei meccanismi di gestione ed implementazione di progetti di Cooperazione allo Sviluppo in campo sanitario avvalendosi di contributi pubblici in special modo della Provincia Autonoma di Trento, partners e donatori privati. Medici con l’Africa Cuamm Trentino ha per scopo principale quello di promuovere e sostenere progetti di cooperazione sanitari nei Paesi con risorse limitate privilegiando i programmi in cui operano volontari trentini.  I Paesi nei quali ha realizzato progetti sono: Etiopia, Mozambico, Angola, Sierra Leone, Sud Sudan, Tanzania”. 

    mamme in attesa di partorire in Mozambico

    Non soltanto Africa ma pure impegno sul territorio di partenza. “Infatti, oltre che in Africa l’attività del gruppo è fortemente indirizzata anche ad iniziative di carattere solidale, culturale, sensibilizzazione, informazione, educazione alla globalità a livello scolastico sul territorio trentino per promuovere una cultura di solidarietà”.

    Qualche testimonianza di medici trentini che hanno operato negli ospedali africani, dove hanno affiancato e non si sono sostituiti ai loro colleghi. Da qui la precisazione di medici “con” l’Africa. 

    La dr. Rossella Romano (Levico Terme) a Tosamaganga, in Tanzania, nel 2018, quando era ancora studentessa di medicina: “Tra i turni in ospedale della mattina e del pomeriggio (talvolta anche della sera) ci trovavamo tutti insieme in sala. Ognuno di noi stava in diversi reparti: ginecologia, medicina interna e pediatria, e condividevamo i racconti della giornata. Sicuramente ciò che mi divertiva di più erano le differenze culturali in ambito lavorativo. Per noi italiani spesso era scontato fare le cose in un certo modo, mentre per il personale locale era altrettanto scontata la loro versione”. 

    la dr. Giulia De Bertolis e un reparto di neonatologia in Mozambico

    La dr. Giulia De Bertolis (Primiero), Ospedale Pediatrico di Bangui (Rep. Centrafricana) specializzanda in Pediatria: “Nel dramma del reparto con la mortalità più alta dell’ospedale (il 20% dei bambini nonostante le cure del personale locale e del CUAMM non ce la farà) l’allegria non perde occasione di rubare la scena alla morte. Il racconto superficiale ed un po’ sensazionale della cooperazione in un posto duro come la Repubblica Centrafricana dovrebbe essere infarcito di orrore, di povertà e disperazione, ma curiosamente delle mamme e dei papà dell’Ospedale di Bangui io ricordo più distintamente le risate piuttosto che i pianti. I pazienti e il personale locale mi hanno ricordato ogni giorno come dopotutto vivere sia molto più importante che morire”.

    Pietro Scartezzini (Trento), amministratore di Area del Cuamm in Etiopia – South Omo:“Nel profondo sud dell’Etiopia, questa regione è un crogiolo di culture, popoli indigeni, etnie, tribù, che vivono spesso ancora in maniera tradizionale: qua nella Valle dell’Omo sembra proprio di vivere in un altro pianeta. CUAMM, oltre che a Jinka, il capoluogo, porta avanti moltissime attività anche nelle zone più remote, da Turmi (dove vivono in prevalenza gli Hamer) fino a Omorate (dove abitano soprattutto i Dassanech), passando per Nyangatom e Arbore. Il progetto principale è in via di conclusione: in questi tre anni molti traguardi sono stati raggiunti. L’impegno di questi anni è stato quello di introdurre e/o migliorare i servizi di neonatologia e pediatria nell’unico ospedale presente (Jinka General Hospital) e nei vari centri sanitari dei villaggi rurali. Sono stati fondamentali i corsi di formazione rivolti al personale medico locale, le campagne di sensibilizzazione tra le comunità e la risposta emergenziale, con una massiccia distribuzione di medicinali e beni di prima necessità, nei distretti di Hamer e Dassanech, colpiti quest’anno da una drammatica siccità”.

    La dr. Elena Mazzalai (Trento) ha operato nella provincia di Tete (Mozambico): “La mia esperienza di specializzanda in Igiene e Medicina Preventiva in Mozambico, conclusasi nell’agosto di quest’anno, mi ha permesso di vedere e lavorare in una realtà complessa ma stimolante. Ho avuto modo di capire davvero come sia fondamentale per la salute delle persone non solo aver accesso ad un ambulatorio medico e ai farmaci, cosa fondamentale in un Paese piagato dall’HIV e in grave carenza di risorse umane socio-sanitarie, ma anche come non esista salute senza l’accesso ad una casa, all’acqua pulita, senza la possibilità di nutrirsi adeguatamente, sia in quantità che in qualità, di avere un lavoro soddisfacente e pagato in maniera giusta, senza istruzione, rispetto dell’ambiente ed equità sociale. Un’esperienza di questo tipo permette di sfatare una retorica pericolosa di “romanticizzazione” della povertà, di toccare con mano quali siano le ferite sociali, culturali ed economiche del colonialismo e di combattere uno sguardo eurocentrico del mondo”. 

    La dr. Alberta Valente, neonatologa (ha lavorato diversi anni in Terapia intensiva neonatale al Santa Chiara a Trento):

    “Grazie a Medici con l’Africa-CUAM, ho avuto l’opportunità di andare in Africa più volte, in tempi e in Paesi diversi. Spesso mi rendo conto che parlo dell’Africa come se fosse una persona e non un luogo. Infatti la “mia Africa” ha un nome e un volto, anzi ne ha più di uno. Si chiama Nangula, una dolcissima bimbetta Down, con il destino segnato da una cardiopatia che da noi sarebbe già stata operata. Si chiama anche Luis Alegria e Giulia Ricardo guariti dalla tubercolosi come tanti altri bambini e João Estefano consumato invece dall’AIDS a soli 8 mesi. E poi Evelina, Bonifacio, Nunes Simão, Umukosa sopravvissuta al genocidio ruandese ma non alla malattia e molti altri che abbiamo incontrato e curato nelle nostre missioni di Medici con l’Africa-CUAMM. Ecco, la mia Africa ha i loro nomi e i loro volti e quello delle loro madri, donne abituate alla povertà e al sacrificio ma con dignità da vendere. Raramente le ho sentite lamentarsi. Nell’Ospedale di Chiulo, in Angola, molto spesso si rivolgevano a noi con una sola parola: “Entu” (grazie)”.

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