“Operazione Sunrise”, è il nome in codice di un’operazione segreta, nota anche “Operazione Crossword” e sviluppatasi come progressiva interazione segreta fra il plenipotenziario del III Reich in Italia, il generale delle SS Karl Wolff, e il responsabile dell’O.S.S. americano in Svizzera Allen Dulles, al fine di ottenere rapidamente la resa dei tedeschi sul fronte italiano, favorendo così un rapido passaggio dei poteri nelle mani delle truppe angloamericane.
Al di là degli evidenti risvolti pratici sotto il profilo militare di una tempestiva resa tedesca nella penisola, l’“Operazione Sunrise” (Aurora) punta soprattutto a “costruire una sorta di fronte politico contro l’avanzata del comunismo in Europa e, segnatamente, in Italia”. L’iniziativa parte ancora nel dicembre del 1944 dal colonnello delle SS Dollmann. Ma chi è quest’uomo?
Eugene Dollmann, una laurea in filosofia e profondi studi storici sull’Italia, diventa ben presto interprete ufficiale di Hitler in tutti gli incontri con Mussolini. Colto, elegante e cinico, risiede in Italia, dove lavora anche per i Servizi segreti tedeschi. Fra il 1938 e il 1944 diventa il punto di riferimento dei nazisti a Roma. Dopo la resa italiana, è l’ideatore del “Piano Quercia”, cioè dell’audace liberazione del duce, prigioniero sul Gran Sasso. Nonostante il mai chiarito ruolo di Dollmann sulla deportazione degli ebrei della capitale e sul massacro delle Fosse Ardeatine, aiuta Virginia Agnelli a fuggire dal carcere tedesco del Celio. Grazie a lei entra in contatto con il barone Luigi Parrilli che è, a sua volta, in stretto contatto con i Servizi segreti svizzeri e, loro tramite, con gli americani che hanno una loro base a Berna.
A fine febbraio 1945, Parrilli ha un primo abboccamento con gli americani, durante il quale segnala la volontà tedesca in Italia di negoziare una resa. Pochi giorni dopo, il gen. Wolff convoca una riunione segreta a Desenzano, alla quale partecipano l’ambasciatore tedesco presso la R.S.I. Rudolf Rahn, il generale delle SS Guido Zimmer e il generale Wilhelm Harster, responsabile di tutte le forze di Polizia e dei Servizi di Sicurezza tedeschi in Italia. In quella riunione si stabilisce l’invio di due emissari tedeschi a Berna – appunto il col. Dollmann e il gen. Zimmer – per un primo contatto diretto con gli Alleati.
Le istruzioni dei tedeschi sono chiare: proporre una resa tedesca in Italia con conseguente ritiro delle truppe nell’area dell’Alpenvorland, cioè il territorio delle province di Trento, Bolzano e Belluno che è già parte del III Reich. Non solo: i nazisti sono disponibili a una stretta collaborazione con gli angloamericani in funzione antisovietica. Questo è il pacchetto delle offerte tedesche. Non è chiaro se Himmler ne sia a conoscenza. È molto probabile perché la proposta rientra nel suo disegno di costruire rapporti con gli occidentali, per mettersi al loro servizio contro il comunismo con la fine del conflitto. È difficile pensare, invece, che Hilter abbia qualche sentore del piano.
Il 3 marzo 1945, a Lugano, Dollmann e Zimmer incontrano un inviato di Dulles, Paul Blum, il quale, pur mostrandosi interessato rifiuta la possibilità di trattative vere, per non infrangere gli accordi presi alla conferenza di Yalta circa la resa incondizionata ed unica dei tedeschi. Però la proposta è allettante e quindi, per verificarne la buona fede, l’americano chiede ai tedeschi un tangibile segno di disponibilità, attraverso la liberazione di un esponente di primo piano del movimento resistenziale italiano: “Maurizio”, cioè Ferruccio Parri. Poche ore dopo, nello stupore generale, Parri, detenuto a Milano dalle SS, viene liberato con le scuse dei tedeschi che fingono di aver preso un abbaglio. Mentre Mussolini e i vertici della R.S.I. sono all’oscuro di tutto, Wolff si incontra personalmente a Zurigo con Allen Dulles. A questo punto però i sovietici scoprono il gioco e Stalin, già sospettoso e diffidente, manifesta il suo disappunto a Roosevelt il quale, a sua volta, nega ogni intento occulto e ordina di interrompere i colloqui.
La resa tedesca ha molti obiettivi: per gli italiani si tratta di salvaguardare quel poco che resta del sistema industriale settentrionale; per i tedeschi di contrattare un salvacondotto verso la madrepatria così da evitare vendette postbelliche e per fronteggiare, se possibile, l’Armata Rossa; per gli americani si tratta di poter concentrare le loro forze in Germania quale argine ai russi. Quali accordi segreti vengano stabiliti fra Wolff e Dulles non è mai stato chiarito, ma venerdì 20 aprile 1945, il generale Heirich von Vietinghoff, comandante in capo tedesco in Italia, ordina il ripiegamento della 10a e della 14a armata su Rovereto e, più in generale, sull’asse del Brennero. Il 29 aprile i tedeschi firmano la resa in Italia, anche a nome della R.S.I. e si arrendono in via definitiva il 2 maggio.
Se sotto il profilo militare quella resa ha ormai poca influenza, sotto l’aspetto politico invece essa segna forse il primo passo della “guerra fredda” e pure l’avvio dell’aiuto americano alla fuga dei nazisti.
Nel maggio del 1945 a Bolzano – e più in generale nell’intera area dell’Alpenvorland – l’atmosfera è, a dir poco, surreale. La città ospita il comando generale tedesco ed il gen. Wolff con tutti i suoi uomini, che si sono arresi agli americani, ma possono circolare liberamente, spesso ancora armati, dando vita perfino a pattuglie miste tedesco-americane per il controllo della sicurezza pubblica. Non solo. I sindaci nominati dai tedeschi rimangono in carica a tutti gli effetti e la collaborazione fra vincitori e vinti è palese ad ogni livello. In questa iniziale confusione, molti nazisti e criminali di guerra, come il maggiore delle SS Rudolf Thyrolf , comandante dei Servizi di sicurezza per l’Alpenvorland, riescono a scomparire nel nulla. Più d’uno entra in clandestinità, vivendo e lavorando negli alti masi della montagna sudtirolese e pare, anche se non è provato, che alcuni uomini delle SS trovino rifugio perfino nella Valle del Fersina in Trentino, facendo leva sulla collaborazione di ex commilitoni mòcheni, già “Optanti” nel 1939.
Quando, a metà maggio del 1945, la notizia del contesto che si è determinato a sud delle Alpi arriva a Washington, la reazione è dura e immediata. Il rischio di uno scandalo mediatico è altissimo, ma anche di una rottura diplomatica con Stalin. Bisogna intervenire subito e porre fine a una situazione insostenibile.
Nel frattempo, il 13 maggio il generale Wolff organizza una grande festa, in una villa di Bolzano, per festeggiare il suo compleanno. Viene arrestato mentre si accinge a stappare lo champagne. Wolff, in carcere, reagisce con una veemente lettera di protesta, facendo capire che Dulles in persona gli avrebbe garantito ogni impunità. A questo proposito però, proprio Dulles scrive: “Wolff sembra non aver capito che deve solo ringraziare la sua buona stella se non passerà tutta la vita in carcere.” Sulla sua testa, infatti, pende più di un’accusa per crimini di guerra. Viene quindi internato in un Campo per prigionieri di guerra in attesa di essere chiamato come testimone d’accusa al processo di Norimberga. In virtù di questo suo ruolo nel grande dibattimento contro i vertici del III Reich, nessuna accusa viene più sollevata contro di lui dagli Alleati. Nel 1949 ritorna in libertà. Vive indisturbato sulle rive del lago Starnberg, in Baviera, per quindici anni e commerciando in armi. Solo nel 1964, un tribunale tedesco lo condanna per responsabilità nel genocidio degli ebrei polacchi. Sconta così un breve periodo e viene poi rilasciato per motivi di salute. Si stabilisce in Germania; trascorre parecchi periodi di ferie in Alto-Adige e sul lago di Garda e muore, indisturbato, a Rosenheim nel 1984.
Eugene Dollmann, dopo la guerra, lavora per i Servizi segreti americani in Svizzera e poi in Spagna dove, con Skorzeny, commercia in armi. Nel 1952 la C.I.A. gli fornisce un nuovo passaporto con il quale può, finalmente, ritornare in Germania. Scoperto e processato, sconta una pena di un mese per… falsificazione di documenti. Vive quindi per più di trent’anni a Monaco, dove si mantiene facendo traduzioni in italiano e dove muore tranquillamente il 17 maggio 1985.
I criminali di guerra nazisti e fascisti riescono insomma assai spesso a non fare i conti con la storia, tranne in qualche raro caso come Eichmann, Priebke e Barbie, per citare i più noti. Gli altri si salvano e conservano sempre un pensiero di riconoscente gratitudine per l’Alto-Adige e la sua popolazione.
(9- Continua; le precedenti puntate sono state immesse in rete il 1, 11, 17, 25, 30 settembre; 8 e 15 ottobre; 2 novembre 2022)