Un’immagine dal passato, un treno che torna sui binari della memoria a rammentare l’atrocità della guerra, la carneficina infinita in nome e per conto di teste coronate destinate alla spazzatura della storia. Un’immagine del presente: la cassa di legno chiaro con il cadavere di un amico, a rammentare una vita di prossimità, interessi, sogni, prospettive. Spezzata da un malore improvvido e disperato, mentre il sole d’autunno dava colore alle foglie del bosco e i raggi frangevano il pelo dell’acqua di un lago profondo, giù nella valle.
In questi giorni anche Trento – la “città redenta” – ha ospitato una tappa del “treno della Memoria”, che non è quello dei ragazzi che vanno ad Auschwitz per apprendere fin dove può arrivare la bestia che ci abita, ma è una iniziativa in ricordo del “Milite Ignoto”, ovvero di quella salma di un Soldato sconosciuto che racchiude in sé tutte le salme e quindi le Memorie di tutti i Caduti della cosiddetta “Grande guerra”.
Scelta da un madre, in nome di tutte le madri che non videro tornare i propri figli da quell’immensa macelleria umana che fu la prima guerra mondiale, la bara del Milite Ignoto attraversò cent’anni fa e in treno tutta la penisola prima di giungere a Roma e di essere tumulata nel sacrario dell’Altare della Patria. Forse molti non ricordano, ma si trattò di un evento che coinvolse l’intero popolo italiano chiamato a misurarsi con il dolore della guerra, per trarne una lezione di inutilità, peraltro mai appresa. L’ultima gioventù dell’Ottocento – i ragazzi del ‘99 – venne inghiottita da un conflitto micidiale che, scoppiato in estate, doveva chiudersi entro il Natale seguente ed invece durò quattro lunghi anni, sconvolgendo vite, famiglie, comunità e paesaggi, come accadde nelle nostre vallate: frontiera prima e fronte poi.
Onorare quella Memoria è, non solo importante, ma indispensabile, soprattutto adesso che un’altra gioventù, forse la prima del terzo millennio, muore ancora in quelle pianure ucraine che già videro l’epopea degli Alpini; muore in nome della libertà di essere liberi, piuttosto che in ossequio alla paranoia dell’ultimo “grande” autocrate del Novecento. È già accaduto e purtroppo accadrà ancora ed altre madri, in altre terre, dovranno compiere il pietoso ufficio di riconoscere l’Irriconoscibile per dare tregua al proprio devastante dolore.
In queste ore, dopo aver sostato davanti al legno chiaro che è l’ultima dimora materiale del mio amico Piero Cavagna, mi sono ritrovato, sospinto dalla forza di pensieri accavallati, di fronte al sacello, quasi dimenticato, che contiene i resti mortali della gioventù dell’“österreichisch-ungarische Armée” nel Civico Cimitero di Trento.
Nel silenzio di un grigio pomeriggio autunnale m’è parso salisse da quella sepoltura collettiva una domanda che percuote la coscienza: perché non mettere su quell’itinerario ferroviario di Memorie lontane anche il “Nemico Ignoto” di allora, che è l’Amico europeo ed euroregionale di oggi?
Forse sarebbe ora di elaborare una vera Memoria europea e non solo quella delle singole nazionalità. Forse sarebbe giusto fare della Memoria, non solo una celebrazione a scadenza per quanto giusta e preziosa, ma anche lo spunto per andare oltre i reticolati e le trincee che ancora adesso solcano, magari non visti, l’Europa del nostro tempo. Nulla a che vedere con il “pacifismo di convenienza” di qualcuno; né con quello “a prescindere” di qualche altro, né con le retoriche d’occasione.
Si tratterebbe invece di uno sforzo comune per giungere al superamento definitivo, che dev’essere anzitutto culturale, di ciò che ci ha diviso – e ancora ci separa – e per dimostrare d’aver almeno leggiucchiato le pagine essenziali della storia del “secolo breve”. Per arrivare a questo, non servono grandi cerimonie, atti plateali o rivoluzionari, ma piccoli gesti; volontà singole che diventano collettive, dialogo anziché ottuso silenzio; generosità intelligente piuttosto che egoismi beceri.Sarebbe stato bello se qualcuno, imbarcato su quel treno in transito a Trento, avesse trovato un minuto per deporre un fiore davanti all’Ignoto dell’“österreichisch-ungarische Armee”, nel nostro Cimitero.
Un atto semplice appunto ed uno stimolo potente, per onorare la Memoria di tutta quell’ “Ignota Gioventù” europea – e non solo – che si è dissolta fra le doline del Carso, sui crinali di Passchendaele, come fra le trincee di Verdun o della Galizia: quella Gioventù che eravamo noi. Un soggetto ideale per una foto di Piero che adesso ritrae l’Infinito.