Nel luglio del 1945 arriva all’ Ambasciata americana di Roma un funzionario del “Foreign Activity Correlation”: Vincent La Vista. All’apparenza si tratta del normale arrivo di un burocrate. Ma chi è quel funzionario?
Vincent La Vista nasce a Dobbs Ferry, nello Stato di New York, nel 1907, da immigrati italiani. Riesce a studiare con grandi sacrifici fino a quando trova impiego presso il Dipartimento di Stato, ovvero il Ministero degli Esteri americano. Con la nascita dell’O.S.S. (Office of Strategic Service), l’antesignano della C.I.A. (Central Intelligence Agency), La Vista collabora con i servizi di controspionaggio e, con lo scoppio della guerra, conduce elaborate indagini su cellule fasciste e naziste presenti negli Stati Uniti ed in Sudamerica. Proprio per questa sua esperienza, viene assegnato poi all’“Operazione Safehaven”, un’indagine segreta e su larga scala, promossa dall’O.S.S. e dal Dipartimento di Stato, per risalire ai tesori depredati e nascosti dai nazisti in fuga. In tale contesto, Vincent La Vista arriva a Roma con l’incarico ufficiale di catalogare gli archivi di Mussolini, ma in realtà con lo scopo di cercare fondi e beni in possesso agli ufficiali nazisti che tentano di fuggire verso il Sudamerica.
La Vista, che dipende anche da Allan W. Dulles responsabile dell’ O.S.S. per l’Europa, si mette in breve al lavoro e, dopo molte ricerche, il 15 maggio 1947, invia un rapporto riservato al Dipartimento di Stato svelando le vaste complicità del Vaticano, della Croce Rossa Internazionale ed anche dell’United Nations Relief and Rehabilitation Administration (U.N.R.R.A. – Amministrazione delle Nazioni Unite di Soccorso e Riabilitazione) nel favorire fughe e scomparse di criminali di guerra non solo tedeschi, ma anche italiani, ungheresi, rumeni, baltici ed altri.
Il rapporto, inviato direttamente ad Herbert J. Cummings, allora alto dirigente del Dipartimento di Stato, viene immediatamente classificato “top secret”. Ma quel documento, pur indicando le diffuse responsabilità di istituzioni ed autorità religiose e laiche, ignora il ruolo che gli stessi Servizi Segreti americani ed inglesi stanno via via assumendo nell’organizzazione della fuga dei nazisti, allo scopo di utilizzarli nella battaglia già aperta contro il comunismo. È grazie a questi contatti che le “reti assistenziali” dei fuggiaschi divengono rapidamente più professionali e perdono i caratteri di improvvisazione che ne hanno caratterizzato gli esordi. Si tratta di un Giano bifronte.
Da un lato gli Alleati si preoccupano per il crescente ritmo delle fughe di ex SS e militari tedeschi dai Campi di prigionia in Italia e soprattutto da quello di Rimini e per la seguente improvvisa scomparsa degli evasi e, dall’altro, i Servizi segreti favoriscono, aiutano e finanziano gli stessi evasi, con lo scopo di reclutare ex agenti dell’“Abwehr” – il Servizio segreto militare – e dell’ SD (Sicherheitsdienst – Servizio di Sicurezza delle SS) che abbiano lavorato soprattutto sul fronte orientale.
La Vista che, pur essendo un esperto inquirente non conosce tutti i risvolti, scopre come gli evasi dai Campi di prigionia vengono nascosti dapprima in diversi conventi compiacenti e poi ottengono i titoli di viaggio della Croce Rossa Internazionale per sottrarsi definitivamente alle maglie della giustizia. In questo turbinio di interessi, di spinte e controspinte, la politica americana decide di approfittare della situazione per proseguire e sistematizzare il reclutamento di ex spie SS, con un forte retaggio anticomunista, già addestrate e preparate ad operare contro quello che è ormai diventato il “comune nemico”.
Dal 1947 in poi, il controspionaggio americano contribuisce così non poco alla creazione di canali di fuga che vengono chiamati “ratlines”, da cui poi la traduzione tedesca in “Ratlinie” o “Rattenlinien”: le vie dei topi. Nel difficile mestiere dello spionaggio, si tratta di “exit strategies”, appunto vie di fuga, preventivamente organizzate per metter in salvo i propri agenti sul territorio nemico.
Va da sé che la questione deve rimanere segretissima. Anche un solo sospetto di complicità fra Servizi segreti americani ed ex criminali di guerra tedeschi susciterebbe uno scandalo di enormi proporzioni nell’opinione pubblica mondiale e quindi tutto deve rimanere “coperto”, al punto che solo nel 1998 i documenti della C.I.A. relativi a questa vicenda vengono resi pubblici presso l’Archivio nazionale di Washington, consentendo così anche di rintracciare alcuni fuggitivi, ormai vecchi se non già deceduti.
In molti casi è questa la risposta alle infinite domande dell’opinione pubblica, soprattutto su come sia stato possibile sottrarsi sempre alla giustizia militare del dopoguerra, rimanendo nascosti – e nemmeno troppo – per moltissimi anni, come nella vicenda dell’ex comandante della Gestapo a Lione Klaus Barbie. La sua storia mette in luce come la fuga dei criminali di guerra sia stata favorita e coperta dai Servizi segreti americani, al punto che lo stesso Barbie, per anni, figura sul “libro-paga” del controspionaggio statunitense, nel suo ruolo di “consigliere” per la sicurezza di alcuni regimi dittatoriali sudamericani.
In proposito, il caso Gehlen è emblematico
Reinhard Gehlen (1902 – 1979) è un “Generalmajor” della Wehrmacht che, durante la guerra, ricopre il delicato ruolo di responsabile dei servizi d’informazione militare per l’intero fronte orientale. Infiltra spie in territorio russo, si avvale di traditori e di delatori, contribuisce alla caccia agli ebrei e viene più volte decorato per i suoi meriti. I russi lo conoscono e lo odiano. A guerra finita aprono una caccia spietata e così lo inducono a scappare negli U.S.A., anche per l’aiuto fornitogli da Allan W. Dulles, sempre attento a favorire gli anticomunisti. In cambio Gehlen consegna un immenso archivio, fatto di dossier e documenti raccolti negli anni contro l’U.R.S.S. e contro i comunisti italiani e francesi fuggiti a Mosca con lo scoppio delle ostilità. In breve gli amerciani riutilizzano Gehlen, le sue grandi capacità e le sue reti mettendolo addirittura alla guida dell’opera di infiltrazione in Unione Sovietica che prende il nome di “Organizzazione Gehlen” e che ha sede, fin dal 1947, a Pullach nei sobborghi di Monaco nella villa che già fu di Martin Bormann.
È ovvio che, ricoprendo una tale delicata funzione, Gehlen arruoli ex commilitoni, uomini delle SS e dello SD. Ne “lava” il passato e, al contempo, favorisce anche la fuga di molti verso il Sudamerica, fornendo documenti, falsi passaporti, nuove vite ed allestendo una “rete assistenziale” che ispirerà poi tutta la letteratura fiorita attorno ad O.D.E.S.S.A., organizzazione della quale ci occuperemo in altra puntata. Gehlen – e la sua “Organizzazione” – sono una risorsa preziosa durante tutta la “guerra fredda”, riuscendo addirittura ad infiltrare circa cinquemila agenti anticomunisti di discendenza est-europea dentro l’intero blocco sovietico.
Ma non basta. Gehlen scopre l’esistenza di un reparto segreto russo – lo SMERS – che agisce autonomamente dentro il sistema dei Servizi segreti sovietici. Collabora poi alla costruzione del “Berliner Tunnel”, per la fuga dall’est all’ovest della città divisa dal Muro e riesce a penetrare i codici di comunicazione fra la D.D.R. e l’ U.R.S.S. Nel 1968, dopo quasi cinquant’anni di “onorato servizio”, si ritira a vita privata. Lo promuovono alla carica di “Ministerialdirektor”, cioè un altissimo grado della burocrazia della Repubblica Federale Tedesca per la quale ha lavorato contribuendo anche alla costruzione del Servizio segreto B.N.D. (Bundes Nachrichten Dienst – Servizio Informazioni federale). Muore indisturbato ed onorato a Berg in Baviera nel 1979.
(6 – Continua; le precedenti puntate sono state immesse in rete il 1, 11, 17, 25, 30 settembre 2022)