Il ruolo della Chiesa cattolica nel facilitare la fuga di ex nazisti in Sudamerica non è secondario. Anzi. Le vicende che vedono protagonista, in sede locale, soprattutto la diocesi di Bressanone costituiscono un valido esempio delle meccaniche utilizzate per la fuga e delle motivazioni che stanno alla base di tale scelta. Infatti, in Alto-Adige, accanto ad un evidente anticomunismo, si aggiunge la particolarità del territorio, della sua popolazione e quindi della sua Chiesa molto attenta, da sempre, alla questione nazionale ed alla solidarietà intertedesca. Insomma, un terreno ideale per favorire i fuggiaschi, tutti convintamente anticomunisti, in larga parte provenienti dall’ Europa centro-orientale e diretti verso i porti italiani.
Uno dei protagonisti di maggior spicco in queste delicate faccende è il Vicario generale della diocesi brissinese, mons. Alois Pompanin. Nato a Cortina d’Ampezzo nel 1889, studia al “Vinzentinum” di Bressanone e prende i voti negli anni della prima guerra mondiale, sviluppando contestualmente una profonda avversione per tutto ciò che richiama la cultura e lo Stato italiano ed un legame profondo invece con il mondo e lo spirito tedesco. Nel 1933, il Vescovo Geisler lo nomina Vicario generale, ponendo di fatto mons. Pompanin alla guida della diocesi stessa. In quegli anni il legame fra i due prelati è tale che Pompanin riesce ad influire molto sulle decisioni del vescovo Geisler, portandolo su posizioni sempre più vicine al nazionalsocialismo che sta prendendo piede in Germania, anche in virtù dei frequenti contatti di Pompanin con mons. Hudal, rettore della chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma e figura di spicco del “Germanicum”.
Pompanin non è un ammiratore di Hitler, bensì un convinto sostenitore del pangermanesimo ed è per tale ragione che cerca in ogni modo di opporsi ad ogni tentativo di riduzione o cancellazione della cultura tedesca in Südtirol, fino a promuovere e favorire le “Opzioni” del 1939.
Con tali premesse non v’è di che stupirsi se la Chiesa sudtirolese viene progressivamente orientata verso un indirizzo nazionale tedesco, abbandonando la tradizionale contiguità al cattolicesimo austriaco.
Questa tendenza, esattamente opposta a quella della diocesi tridentina retta dall’antifascista ed antinazista mons. Endrici, si manifesta apertamente quando Papa Pio XI pubblica l’enciclica “Mit brennender Sorge” (Con viva preoccupazione) nel 1937. Quella lettera-enciclica non viene letta nelle chiese sudtirolesi, proprio perché Geisler e Pompanin non condividono affatto le critiche aperte del Vaticano al nazismo. Va da sé che, in un simile contesto, le alte gerarchie della Chiesa sudtirolese diventano, in breve, un potente alleato del III° Reich, mentre invece il basso clero identifica l’ideologia nazista come un avversario temibile. La scelta filonazista si ripercuote poi, com’è ovvio, a guerra finita attraverso il concreto aiuto offerto ai nazisti fuggitivi che transitano per l’Alto-Adige. Così diversi conventi diventano importanti tappe in direzione di Roma o di Genova, al punto che l’asso della Luftwaffe Rudel ricorda: “Alcuni di noi passavano da un monastero all’altro con addosso il saio da monaco. Si può pensare ciò che si vuole del cattolicesimo, ma il fatto che la Chiesa abbia, con gesti concreti, salvato da morte sicura molti di noi, non può essere facilmente dimenticato.” Si tratta della cosiddetta “Kloster Linie”: la “via dei conventi”.
Il 1° dicembre 1945, i carabinieri di Merano perquisiscono improvvisamente il monastero dell’Ordine teutonico a Lana e fanno “il pieno”: quindici soldati e collaborazionisti francesi, croati, cèchi e tedeschi, oltre a un buon numero di armi, attrezzatura militare, tre automobili ed ingenti somme di denaro. Si tratta però di un caso raro e possibile solo con l’autorizzazione degli Alleati, dato che i Patti Lateranensi rendono i conventi sostanzialmente luoghi protetti ed ai quali non hanno accesso le Forze dell’ordine italiane.
Forti di tale situazione, il convento dei Cappuccini di Bressanone e quello Francescano di Bolzano ospitano sempre “persone di passaggio” e fra loro Adolf Eichmann e Franz Stangl, tanto per citare i più noti, che vi soggiornano per qualche tempo. Fra tante figure di frati che aiutano, proteggono, assistono e coprono risalta quella del padre Oswald Pobitzer, nato a Bolzano nel 1908 e partecipante, da giovane, alla “marcia su Roma”. Poi, presi i voti Pobitzer insegna al liceo francescano di Bolzano e diventa cappellano militare della Divisione “Brennero”. Nell’immediato dopoguerra, padre Pobitzer si prodiga per i fuggiaschi ed aiuta perfino l’SS sudtirolese Karl Tribus, corresponsabile di crimini di guerra a Belluno e ricercato dagli Alleati, aiutandolo a fuggire in Argentina, dove muore indisturbato ed in tarda età. Ma non solo cattolici.
Anche il pastore evangelico Julius Giese, facendo base a Merano, lavora come informatore dei Servizi segreti nazisti fin dal 1933/34. Una vera spia, a lungo sospettata dalla Polizia italiana che però non riesce mai a trovare prove sufficienti per l’arresto. Ovviamente, dopo la fine della guerra, anche Giese diventa un punto di riferimento importante per i nazisti in fuga.
Ma quali motivazioni spingono uomini di Dio, votati alla carità, ad agire in tal modo? La risposta di Simon Wiesenthal, il celebre “cacciatore di nazisti”, è a questo proposito illuminante: “È difficile indovinare i motivi che animano questi preti e frati. Molti, non v’è dubbio, agiscono per un malinteso senso dell’amore cristiano per il prossimo e non è escluso che tanti di loro, durante il nazismo, abbiano fatto la stessa cosa in favore degli ebrei, come testimoniato dall’accoglienza di oltre 4 mila ebrei in conventi e strutture della Chiesa cattolica in Italia. Credo che la Chiesa sia divisa in due parti: da un lato sacerdoti e frati che riconoscono in Hitler l’Anticristo ed esercitano quindi verso gli ebrei tutta la carità cristiana possibile e dall’altro coloro che nei nazisti vedono una forza d’ordine nella lotta contro la decadenza dei costumi ed il bolscevismo. I primi hanno nascosto gli ebrei durante la guerra; i secondi, i nazisti nel dopoguerra.”
A posteriori è facile esprimere giudizi morali a buon mercato ed opportune scusanti, ma la realtà rimane comunque intatta: la Chiesa in genere e quella sudtirolese in particolare rappresentano uno degli elementi cardine delle “Rattenlinien” che conducono criminali di guerra di molte nazionalità nel compiacente Sudamerica, senza che su questo agire la Chiesa abbia mai fatto pubblica ammenda.
(5- continua; le precedenti puntate sono state immesse in rete il 1-11-17-25 settembre 2022)