Per la sua particolare posizione geografica, ma anche per la sua storia e le sue dinamiche politiche e sociali, il territorio del Trentino-Alto Adige si presta molto bene ad essere usato e attraversato senza grandi rischi. Soprattutto nei primi periodi post-bellici, si tratta di una sorta di “terra franca” dallo status ancora incerto, sia geograficamente che amministrativamente; un luogo dove i fuggitivi parlano la stessa lingua di larga parte della popolazione. Un territorio dove circa l’85% della gente che lo abita è considerata, in un primo momento, “Volksdeutsche” e apolide, cioè composta da tedeschi senza cittadinanza, circostanza oltremodo favorevole per fornire nuove identità a chi ne ha bisogno. Nessun’altra realtà europea può reggere il confronto ed è quindi qui – soprattutto in Alto-Adige, ma anche in qualche paese mistilingue del Trentino – che i criminali di guerra possono nascondersi e mimetizzarsi, almeno per il tempo sufficiente a reperire risorse e documenti utili all’emigrazione.
Fin dalle ultime settimane di guerra, passano le Alpi alcune famiglie di gerarchi e di alti funzionari dello Stato, spesso in fuga dai bombardamenti alleati sulla Germania. Fra costoro spiccano, ad esempio, la moglie del Segretario del Partito nazista Martin Bormann, così come la moglie e la figlia del Reichsführer delle SS Heinrich Himmler, le quali alloggiano per lungo tempo in una baita di montagna in Val Pusteria, a circa venti chilometri da Bolzano. Anche Maximilian Bernhuber, alto dirigente della Reichsbank e responsabile dell’“arianizzazione” dei beni degli ebrei, si nasconde in un maso di quella valle, fino a quando i Carabinieri non riescono ad arrestarlo. Le accuse contro di lui – furto di opere d’arte, confisca delle riserve auree della Banca d’Italia, estorsione di 12 miliardi di lire per finanziare l’occupazione della penisola ed altro – spiegano perfettamente i motivi della fuga.
La medesima possibilità di nascondersi per parecchio tempo, pare a Lauregno, spetta, ad esempio, all’Obergruppenführer SS Ulrich Greifelt, responsabile fra l’altro dei programmi di arianizzazione dei territori occupati dai tedeschi. Ma non solo. Gerarchi, funzionari civili, militari e uomini delle SS trovano accoglienza e vivono, sotto mentite spoglie, per un lungo periodo in Alto-Adige e forse anche nelle comunità germanofone del Trentino. Eccone alcuni esempi.
Lothar Debes, comandante della divisione SS “Frundsberg” e noto per la sua ferocia nella lotta antipartigiana in Russia, si nasconde nei pressi del lago di Carezza, mentre a Castelrotto si rifugia il maggiore Mario Carità, comandante dell’omonima “Banda” che ha svolto compiti di repressione antipartigiana in Italia, dipendendo sia dai tedeschi che dalla Repubblica Sociale Italiana di Salò. Carità viene ucciso in uno scontro a fuoco con gli americani, probabilmente a seguito di una delazione dei suoi ospiti sudtirolesi. Come lui altri alleati dei nazisti si rifugiano in Alto-Adige: il barone Gabor von Kemeny ministro degli Esteri ungherese vive per un periodo a Merano, al pari del ministro francese della Propaganda di Vichy, Jean Luchaire, mentre Kurt Drexler, alto ufficiale SS, vive in Val Gardena. Ernst Kroess, della Gestapo, fa la bella vita a Merano e perfino il colonnello SS Eugen Dollmann, interprete di Hitler nei suoi incontri con Mussolini, vive fra queste montagne e si cela sotto il nome di Eugen Amonn di Bolzano. L’elenco è ancora lunghissimo, ma ciò che balza all’occhio è il ruolo svolto dal Comune di Termeno nel procurare documenti falsi ai criminali di guerra presenti in Alto-Adige. Perché proprio Termeno?
Fin dal 1933 il paese è la base del “Völkischer Kampfring Südtirol”, un folto gruppo di simpatizzanti nazisti. Termeno, durante il periodo di potestà italiana, è forse la realtà più filonazista dell’alta Italia e, con l’occupazione tedesca dopo l’8 settembre 1943, il Sindaco è nominato proprio attingendo agli elenchi di quell’associazione. Pare che sia lui l’autore della sottrazione di numerosi formulari in bianco per il rilascio delle Carte di Identità, così utili ai fuggitivi. La maggior parte dei Sindaci sudtirolesi e trentini, scelti e nominati dai tedeschi, rimangono in carica almeno fino all’autunno del 1945 ed hanno così modo di agire con i rispettivi Uffici dell’Anagrafe per procurare documenti di ogni tipo: certificati di nascita, di morte, di matrimonio, di residenza ecc. A Termeno questa situazione assume però contorni decisamente marcati. Sarebbe proprio un impiegato del locale Ufficio Anagrafe, molto vicino agli ambienti delle SS sudtirolesi, a fornire i documenti a Mengele, Eichmann e ad altri criminali in fuga. Gli archivi comunali, in genere, conservano traccia di ogni richiesta di documenti presentata all’Amministrazione comunale. A Termeno, però quegli elenchi, relativi soprattutto agli anni 1947 e 1948, sono lacunosi, incompleti o addirittura scomparsi.
Ma, in pratica, cosa accade ai nazisti in Alto-Adige?
Prendiamo in esame, a titolo di esemplificazione, la vicenda del capitano SS Erich Priebke, criminale di guerra, colpevole di complicità anche nella strage delle Fosse Ardeatine a Roma.
Nasce a Berlino, il 29 luglio 1913, in una famiglia disagiata e, fin da adolescente, è costretto a lavorare nel settore alberghiero, dove impara l’italiano.
Qualche anno dopo, ottiene un posto di interprete presso la Gestapo di Berlino. Qui fa una rapida carriera fino a diventare responsabile dell’Ufficio di Polizia estera. È un nazista convinto e frequenta una delle “scuole-quadri” delle SS. Nel febbraio del 1941 viene trasferito a Roma, agli ordini del magg. Herbert Kappler, con il quale collabora appunto alla realizzazione della strage delle Fosse Ardeatine.
Nel luglio del 1943, con la caduta di Mussolini, Priebke capisce che la storia sta assumendo un’altra piega e trasferisce quindi la propria famiglia a Vipiteno, dove la raggiunge alla fine del conflitto, nascondendosi in via della Stazione n. 250. Viene però arrestato dagli americani, insieme a molti altri ufficiali delle SS e al gen. Karl Wolff. È recluso nel grande Campo di prigionia di Rimini. Quando Kappler, il suo comandante, viene consegnato dagli inglesi agli italiani che lo processano e lo condannano all’ergastolo, Priebke intuisce che la stessa sorte lo attende. Evade quindi dal Campo il 31 dicembre 1946. Beneficiando degli aiuti della Chiesa cattolica, Priebke riesce a tornare a Vipiteno dalla sua famiglia. Sa che nessuno lo cerca in Alto-Adige e qui trova alloggio e lavoro, per il periodo gennaio 1947–ottobre 1948, assistito anche dal parroco di Vipiteno, don Johann Corradini, da P. Franz Pobitzer e soprattutto dal vicario generale della diocesi, mons. Alois Pompanin, che è in contatto stretto con l’arcivescovo mons. Alois Hudal, rettore del “Germanicum” in Vaticano e, con la “copertura” del Vaticano, grande protettore dei tedeschi in fuga.
Nell’autunno del 1948, ovviamente a Termeno, Priebke cambia identità e diventa il profugo lettone apolide Otto Pape, già direttore d’albergo. Si converte al cattolicesimo e, con i falsi documenti procurati da mons. Pompanin, si imbarca con la famiglia a Genova per l’Argentina. Nel 1949 arriva a San Carlos de Bariloche. Vi si stabilisce, riprende la sua vera identità e vive in pace per quasi cinquant’anni, facendo il direttore didattico. Scoperto da una rete televisiva americana, viene finalmente estradato in Italia il 21 novembre 1995, per subire la condanna all’ergastolo, dopo una complessa vicenda processuale. Muore l’11 ottobre 2013, all’età di cento anni, senza mai essersi pentito e continuando a negare l’evidenza della Shoah.
4-continua (le precedenti puntate sono state messe in rete il 1-11-17 settembre 2022)