Ultimi scampoli di una brutta campagna elettorale mentre, nelle redazioni, già girano i risultati dei sondaggi in mano alle coalizioni e ai gruppi politici. Andrà come si intuisce da molti segnali. In questi frangenti sovviene il proverbio turco che un amico chirurgo ci ha inviato in questi giorni:
“Gli alberi votarono per l’ascia. Perché l’ascia era furba e li aveva convinti che era una di loro. Perché aveva il manico di legno”.
Nel merito vi proponiamo un ragionato contributo di Renzo Fracalossi il quale dell’impegno civile ha fatto la propria cifra, trasferendola pure in teatro. Perché il teatro sveglia dal torpore, rispolvera la memoria e alimenta la cultura. Della quale avrebbe bisogno come l’aria, non occorre dirlo, la buona politica.
A cent’anni dalla “marcia su Roma”, che segna l’avvento del fascismo al potere, il voto del 25 settembre prossimo potrebbe, almeno secondo crescenti suggestioni mediatiche, consegnare la guida del Paese alla leader del post-fascismo. Al di là delle coincidenze storiche, si tratterebbe di un evento decisamente originale e tale da stimolare, nel pieno rispetto comunque della volontà popolare, qualche interrogativo al normale cittadino che si sforza per seguire il dibattito politico.
Pur nella convinzione dell’alta improbabilità di derive autoritarie, antidemocratiche o violente e nella consapevolezza del cammino fin qui fatto da larga parte della Destra italiana sul terreno del confronto democratico, riesce però ancora difficile ritenere il post-fascismo attuale del tutto innocuo, posto che il suo riferimento ideale pare ancora poggiare su di una “Weltanschauung” [concezione della vita] non esente da scorie razziste, xenofobe, antisemite e discriminatorie e su di un progetto di strutturazione centralista e sovranista dello Stato che appare agli antipodi di qualsiasi, anche vaga, aspirazione autonomistica.
Al di là del tratto indubbiamente civile della Destra parlamentare – anche se forse un po’ meno di quella extraparlamentare e collaterale – l’irrisolto tema di fondo pare essere, ancora una volta, quello identitario.
È su questo terreno che sorgono domande non irrilevanti.
A cosa si ispirano ideologicamente i “Fratelli d’Italia” ed a quale narrazione della storia fanno riferimento? Quale Paese immaginano e vogliono e con quali strumenti intendono perseguire il loro progetto di governo? Quali richiami valoriali avvertono nella Costituzione antifascista sulla quale si fonda la Repubblica? Come si rapportano con la complessa questione delle autonomie territoriali, provenendo da una concezione centralista e statalista che, per sua natura, cozza contro ogni forma di decentramento dei poteri? E, se accettano le regole della democrazia, come conciliano queste regole con la simbologia della “fiamma tricolore” che, al netto di alterne fortune, fu disegnata da Emilio Avitabile su richiesta di alcuni non secondari reduci della Repubblica Sociale Italiana, come Giorgio Almirante e Pino Romualdi, quale prosecuzione ideale dell’esperienza fascista? E, in quell’occulto richiamo, peraltro mai rinnegato del tutto, all’ultima eredità del regime, come dietro ai saluti romani ai funerali e al grido di “Presente!”, cosa si cela?
Una seria e profonda comprensione degli orrori del fascismo non può limitarsi a qualche pentimento d’occasione, a qualche ritrattazione di circostanza o alla condanna delle leggi razziali – peraltro solo di quelle e non dei trascorsi che ne furono a fondamento – ma deve tradursi nello sforzo quotidiano di fare i conti con la propria storia, non foss’altro che per rischiarare ogni possibile zona d’ombra residua o ogni collateralismo sospetto, per mettersi così sullo stesso piano democratico di altre realtà della Destra europea.
Come noto, questo Paese non ha mai fatto i conti con la propria più recente storia; non ha approntato una “Norimberga” per i crimini di guerra perpetrati nei territori occupati dalle truppe italiane; non ha mai scisso del tutto il “ventennio” dal dopoguerra, riciclando uomini e figure compromesse, dentro il nuovo Stato repubblicano e democratico. Non aver fatto nulla di tutto questo ha contribuito insieme all’altro “ventennio”, quello del berlusconismo, a sdoganare il passato, in nome della pacificazione democratica e del bisogno di oblio, seppellendo la vicenda storica sotto la polvere del tempo.
Ecco perché adesso il possibile ritorno al potere degli eredi, comunque, anche della storia del fascismo, induce a molte perplessità e produce disagio e inquietudine.Per fronteggiare questo stato d’animo diffuso, le forze politiche della Destra devono spingersi, da un lato, sul terreno di un esame anche doloroso e complesso del passato che a loro, più che ad altri, appartiene e, dall’altro, sull’immediata e continua condanna di azioni, pensieri, espressioni e propagande, come quelle recentemente esibite dal premier ungherese Orban in tema di “purezza razziale”.
Solo così la Destra italiana può rivendicare la propria convinta partecipazione al dibattito democratico, archiviando un tragico trascorso ed aprendosi a una visione più prospettica delle grandi sfide poste da una ormai irreversibile globalizzazione, a partire dal delicato nodo delle migrazioni per giungere agli altrettanto scottanti temi dei diritti.