Più passano i mesi, dall’annuncio trionfale (due anni fa) del ministro degli esteri italiano, Di Maio, (“Sono lieto di comunicare che Chicco Forti sarà presto estradato in Italia”), e più appare chiaro che dietro la vicenda “Chicco Forti” si allungano ombre e misteri. Non ultimo un reportage per la TV (trasmesso in Italia da Rai3) sull’omicidio di Gianni Versace, a Miami, 25 anni fa. In quell’inchiesta televisiva, Chicco Forti faceva capire che nel delitto Versace erano coinvolti personaggi appartenenti alla polizia di Miami. Quel che accadde poi è vicenda nota: Chicco Forti fu accusato di essere il mandante di un omicidio. Ed è stato condannato all’ergastolo benché non vi fossero prove provate e lui abbia “urlato” per tutti questi anni la propria innocenza.
Del caso si sono occupati nel mese di agosto 2022 il quotidiano torinese “La Stampa” che a Chicco Forti, sabato 20, ha dedicato una intera pagina; e il vicepresidente del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, Roberto Paccher, il quale ha incontrato il detenuto trentino nel carcere di Miami dove, da Natale del 2020 sta attendendo il trasferimento in Italia. Intanto, sulla tragica fine dello stilista italiano, Versace, scrive Giacomo Zeni.

Accadde il 15 luglio 1997, in una torrida estate americana, uno dei casi di cronaca nera più controversi e misteriosi del mondo patinato della moda. Lo stilista Gianni Versace (1946-1997) fu ucciso sulle scale d’ingresso della sua villa a Miami.
Farsi un’idea di ciò che Versace abbia significato nel mondo della moda, non è per nulla facile. Nato a Reggio Calabria, si dimostra incline all’arte della sartoria fin da piccolo, seguendo le orme della madre. A 25 anni si trasferisce a Milano dove comincia a disegnare abiti. Sono gli anni ’70, anni di sconvolgimento sociale, bollore violento delle masse, boom economico. E decennio d’oro dell’Italian style.
Da un’idea industriale rivoluzionaria, nasce il marchio “Made in Italy” che racchiude nomi di astri luminosi della futura moda italiana, tra cui Armani, Prada, Missoni, Valentino. E Gianni Versace segue questa scia sfavillante di talenti. Dall’inizio degli anni ’80 poi, prende la scena.
Seguono una sequela ininterrotta di sfilate con abiti che rompono le regole della moda vista fino a quel momento. Si punta all’eccesso, alla trasposizione di simbologie religiose, al folklore italiano. Versace vuole che le sue modelle siano donne potenti, provocanti, eccessive. Fa tutto questo portando la Calabria storica, la Magna Grecia, al grande pubblico. Un trionfo di stile classico greco per innovare, incredibile quanto apparente ossimoro.
Eppure qualcosa è successo. È lo stilista che ha introdotto le supermodelle in passerella, di cui si ricorda sempre il leggendario trio: Naomi Campbell, sua musa, Christy Turlington e Linda Evangelista (definita al tempo come la donna più bella del mondo). È lo stilista che utilizza, dal vivo, Prince, Madonna, Tupac, per musicare le sue sfilate. È lo stilista che catalizza l’attenzione della moda internazionale su Milano, dove lavora, e che ruba lo scettro a Firenze, Roma e Parigi. È lo stilista che per primo si dichiara apertamente omosessuale, aprendo la strada a molti altri volti noti. Inventa gli abiti di metallo, veste le più grandi star della moda e del cinema. Nel 1995 la rivista “Time” lo nomina uomo del momento. Genio eclettico, fautore del sincretismo (la fusione di stili diversi), dalla modernità di prospettiva.
“Meglio di cattivo gusto che conformista” dichiarerà.
L’ultima collezione risale all’inverno 1997, postuma alla sua tragica fine. L’omicidio disegnerà ombre indelebili e sinistre su quello che è un lavoro radicalmente diverso dal solito. Manca il colore, non ci sono sfarzosi dettagli, domina il nero. Potrebbe sembrare un appiattimento improvviso della sua iperbole massimalista. Appare invece come il suo ultimo, dirompente messaggio. Il tentativo di unire due mondi apparentemente agli antipodi: il freddo, minimalista e protestante nord con il caldo, chiassoso e cattolico sud. È un trionfo di bellezza, di croci dorate su abiti borghesi, di pudore e sensualità, di silenzio e grida. Due visioni etiche di vita che si conciliano e cercano una sintesi.
Gianni Versace lascia un’azienda che fattura poco meno di un miliardo di euro l’anno e che contribuisce al maggiore introito industriale italiano: la moda. Il 15 luglio 1997, due colpi di pistola sugli scalini di una villa a Miami Beach chiudono gli occhi e l’esistenza umana di Gianni Versace. Resta il ricordo nelle collezioni della sua Maison.