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    Home»La via dei topi»3-I buoni osti della “rete delle locande”
    La via dei topi

    3-I buoni osti della “rete delle locande”

    Renzo FracalossiBy Renzo Fracalossi17 Settembre 2022Nessun commento7 Minuti di lettura
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    Aiutare la fuga ai Tedeschi del terzo Reich, oltre a un segno di appartenenza identitaria, diventa una fonte economica di una certa importanza. Fra l’autunno del 1945 e l’estate del 1946 i proventi del traffico di fuggitivi sono elevati. Poi il fenomeno tende ad esaurirsi fino al 1949, quando si dissolve quasi completamente.

    L’identità dei fuggiaschi è spesso sconosciuta ai contrabbandieri. A costoro poco importa chi sia l’individuo capitato nelle loro mani. Ciò che conta è il denaro. Il primo anello della catena di fuga è un intermediario che assolve il compito di mettere in contatto i gruppi di fuggiaschi con una guida alpina esperta, capace di condurli, su sentieri impervi e difficilmente intercettabili, fin oltre il confine, dove i fuggitivi ricevono ospitalità e assistenza. “Spalloni” ignoti, ma anche celebri, se il Dipartimento di Stato americano segnala perfino Luis Trenker, celebre regista ed alpinista, fra le guide dell’immigrazione clandestina. Afferma in proposito il direttore della Charitas di Roma, mons. Bayer: “Chiunque dica che all’epoca ci volevano documenti per attraversare il confine, non sa di che cosa parla. A quell’epoca tutti avevano riferito l’uno all’altro quale piccolo paesino nei dintorni del Brennero o del Resia era il più adatto per attraversare la frontiera e quali contadini erano ex nazisti o comunque disposti ad aiutare e dare aiuto per denaro. Molti lo facevano anche gratuitamente.”

    In proposito il caso del dott. Josef Mengele (Günzburg 1911–Bertioga 1979), per quanto noto, è eclatante. All’inizio del 1945, Mengele fugge da Auschwitz, dove ha compiuto i suoi criminali esperimenti medici. Sulla sua testa pende l’accusa di crimini efferati e una nota informativa, ad uso delle Polizie militari degli Alleati, così recita: “Josef Mengele, ricercato. SS-Hauptsturmführer e medico del Campo di concentramento di Auschwitz nel periodo giugno 1943 – gennaio 1945, pluriomicida e autore di altri crimini.”

    Mengele riesce soprattutto a mimetizzarsi nell’enorme massa dei prigionieri tedeschi internati, una massa nella quale è difficilissimo distinguere i criminali di guerra. Nella primavera del 1945, diventa quindi un soldato semplice della Wehrmacht e, dopo un breve internamento in un campo militare, viene rilasciato e trova lavoro, nell’ottobre del 1945 e con il falso nome di Fritz Hollmann, in un’azienda agricola bavarese a Mangolding. Dopo quasi tre anni, decide di lasciare il suolo tedesco, che sta diventando rischioso, per trasferirsi altrove. D’altronde, il suo matrimonio con Irene Schönbein è ormai naufragato e l’unica cosa che addolora il dottore è la separazione dal figlio Rolf, con il quale mantiene però sempre i contatti. Lo fa tramite la sua famiglia d’origine che risiede a Günzburg dove ha sviluppato, nel dopoguerra, una fiorente attività industriale (carri agricoli, carriole e poi trattori), che permette di finanziare – e quindi di accelerare – la fuga di Josef. Associare il nome della ditta a quello di uno dei criminali di guerra più ricercati nuoce agli affari. Pertanto è meglio che se ne vada lontano, magari in Argentina, la nazione sempre così accogliente con i profughi tedeschi.

    Il Venerdi santo del 1949, Josef Mengele parte da Innsbruck e arriva a Steinach, l’ultimo borgo austriaco prima del Brennero. Qui, nella frazione di Vinaders, il locandiere tirolese Jakob Strickner e il contrabbandiere meranese Adolf Steiner lo portano oltre confine. Giunto in Italia, Mengele passa la prima notte nella “Gasthaus Kershbaumer”, a Bagni di Brennero. La locanda, tutt’ora esistente, è un posto sicuro e l’oste consiglia a Mengele, nel caso di qualche imprevisto controllo, di dichiarare d’essere nato a Termeno e di aver varcato illegalmente il confine, in seguito alla perdita dei propri documenti d’identità. Il giorno dopo Mengele arriva Vipiteno e, sempre con il falso nome di Fritz Hollmann, alloggia all’albergo “Goldenes Kreuz”, in pieno centro cittadino. Lì rimane per ben quattro settimane. Mengele è provvisto di denaro. Molto denaro. È per questo che può permettersi il soggiorno in albergo, anziché doversi nascondere in qualche compiacente convento, come avviene invece per Eichmann. Poi da Vipiteno arriva a Termeno. Qui Mengele cambia identità e viene fornito di nuovi documenti intestati a Helmuth Gregor, apolide. Così riesce a raggiungere Genova, dove si imbarca per l’Argentina in una fuga, quasi indisturbata e che dura ben trentaquattro anni. Dopo aver vissuto quasi dieci anni a Buenos Aires, nel 1959 Mengele – a differenza di Eichmann – avverte di essere braccato, probabilmente dal Mossad israeliano e dall’organizzazione diretta da Simon Wiesenthal. Fugge quindi, dapprima in Paraguay e poi in Brasile nel 1960, dove si stabilisce definitivamente e dove muore, il 7 febbraio 1979, per annegamento. Viene sepolto con un’altra falsa identità, quella di Wolfgang Gerhard.

    Due dei più noti criminali nazisti: Adolf Eichmann e Josef Mengele

    Torniamo fra le Alpi. Se Mengele trova aiuto nella locanda di Jakob Stricker, ex membro delle SS, arricchitosi con la requisizione di beni ebraici a Innsbruck e poi contrabbandiere, altre “Gasthof” della zona frontaliera non sono da meno: la “Silbergasse”, la “Vetter” e la locanda “Zum Wolf”, tutte sul versante italiano, sono ottime tappe per i fuggitivi. “Non dimenticherò mai questi osti e che Dio li ricompensi per quello che hanno fatto per noi”. Così scrive un ex soldato della Wehrmacht in fuga e che si avvale della “rete delle locande” sui due versanti alpini. Al pari di lui, anche molti protagonisti della Shoah, come Franz Stangl, comandante del Campi di sterminio di Treblinka o come Josef Schwammberger, nato a Bressanone nel 1912, comandante di vari Campi di lavoro nella regione di Cracovia e responsabile degli omicidi di massa di ebrei in Polonia.

    Con grande rapidità e forte “cameratismo” nasce più di una “rete” che aiuta le fughe. Ne esamineremo qui una in particolare, rappresentata da un gruppo di ex SS guidato dal SS-Hauptsturmführer (Capitano) Karl Nicolussi-Leck e dal suo stretto collaboratore Karl Folie di Appiano, noto contrabbandiere nella zona del Brennero. Se Nicolussi-Leck, la cui origine cimbra è probabile, è lo stratega dell’organizzazione, Folie è il vero “passatore”: chiede 500 scellini per ogni persona ed applica perfino “sconti-comitiva”, nel caso di gruppi di fuggitivi. I fruitori di questa rete sono in prevalenza criminali di guerra nazisti. Costoro giungono ad Innsbruck aiutati dal funzionario doganale Georg Schwentner, dove incontrano Karl Troy che li porta a Matrei am Brenner.

    Qui, Folie li prende in carico e fa loro varcare il confine clandestinamente, consegnandoli infine a Walter Spitaler che li conduce a Bolzano e li consegna al capitano Nicolussi-Leck. Costui trova un lavoro temporaneo ai fuggiaschi e procura loro soprattutto i documenti necessari al viaggio. Fra coloro che la rete di Nicolussi-Leck aiuta ad arrivare in Argentina, anche trasferendo le relative famiglie dei fuggiaschi, figurano nomi famosi dell’universo nazista come gli assi dell’aviazione Hans Rudel, Herbert Bauer, Ernst Niermann e soprattutto il gen. Adolf Galland, uno dei più celebri piloti da caccia dell’intero conflitto.

    Certo, non sempre tutto fila liscio. Nell’aprile del 1947 Gerhard Bast, ex responsabile della Gestapo di Linz, è ucciso proprio sul confine dalla guida che lo accompagna. Bast ha vissuto quasi due anni indisturbato in val Pusteria, sotto il falso nome di Franz Geyer, quando decide di andare in Argentina. Prima di partire, un ultimo saluto alla famiglia che risiede ad Innsbruck. Lo accompagna un giovane di Bagni di Brennero. Quasi giunti al confine, il giovane uccide Bast probabilmente a causa di un litigio sul pagamento.

    Il contrabbando di uomini diventa così, per i contadini di montagna dei due versanti, una sorta di integrazione del reddito agricolo. Anche i bambini, che conoscono bene i sentieri alti, fanno da guida a chi fugge. Al maso Griesberger tutti i ragazzini della famiglia fanno le guide. Il confine dista meno di cento metri da casa. Durante il giorno si lavora in campagna e la notte si fanno effettuano viaggi oltreconfine. Nell’immediato dopoguerra, tutto fa brodo pur di tirare avanti su questi scoscesi e inospitali pendii.

    (3-continua – Le precedenti puntate sono state messe in rete il 1 e 11 settembre 2022)

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    Renzo Fracalossi

    Renzo Fracalossi, è nato a Rovereto il 5 luglio 1961. Risiede a Trento dove, dopo gli studi umanistici, lavora nella pubblica Amministrazione. Presiede l'associazione culturale "Club Armonia"; è componente della "Società di Studi Trentini di Scienze storiche" e della S.O.S.A.T. Ricercatore e divulgatore, si occupa da decenni di approfondire e narrare l'antisemitismo e con esso la Shoah e di indagare la storia locale. Collabora con università e centri di ricerca europei su tali questioni ed ha all'attivo alcune pubblicazioni e contributi. È autore teatrale, iscritto alla S.I.A.E., con testi rappresentati in sede locale e nazionale.

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