Andremo alle elezioni e i più giovani, probabilmente, non sanno che le donne, in Italia, possono votare soltanto dal 1946 dopo che il 1° febbraio 1945 era stato emanato un decreto legislativo che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero compiuto i 21 anni. In Italia, il suffragio universale per i maschi era stato introdotto nel 1918. Nel corso del XIX secolo, in Inghilterra, era nato il movimento delle suffragette, così chiamato perché chiedeva a gran voce il suffragio universale con l’emancipazione femminile. Di questo movimento fece parte una celebre scrittrice – Virginia Woolf (1882-1941) la quale fu a lungo impegnata nella conquista della parità di diritti tra i sessi. Scriveva: “Non c’è nel petto dell’uomo passione più forte del desiderio di far pensare gli altri come lui”.
La buona scrittura non è qualcosa di facile in nessun contesto. Se poi il contesto in questione è un’epoca dove la donna è riconosciuta per essere nulla più di un angelo del focolare, stupisce in maniera ancora maggiore ciò che un’autrice quale Virginia Woolf ha prodotto in termini di stile, idee e temi. La meraviglia è stata descritta da qualcuno come qualcosa che riempie la bocca, di solido, che satolla il nostro stomaco e di cui il nostro cervello ne memorizza il sapore. Quando si legge, o nel mio caso, si rileggono alcune opere della Woolf, si comprende come la meraviglia nel vedere alcune tematiche, antiche e sconosciute per alcuni, nutrano più di tanti pasti. Ciò che compone arriva ad essere tremendo, esasperante, secco come un colpo di pistola, ma sconvolgente nella sua estrema modernità che và completamente aldilà del suo tempo. Contrariamente al romanzo classico ottocentesco, il quale si basa sulla crescita morale dei personaggi oppure al racconto quasi mitizzato di qualcuno che può farcela dal nulla, la Woolf spacca questi temi narrativi andando a raccontare la verità più cruda. Espone scampoli di vita senza finali rassicuranti, antieroi, società patriarcali che schiacciano la figura femminile. Demolisce così l’idea di cultura Vittoriana fatta di conquiste coloniali, uomini forti e idee nazionalistiche per evidenziare le debolezze di uno stesso impero vecchio, marcio e con una società che ribolle per avere la sua rivoluzionaria libertà sociale. Un approccio di negazione netto, che riporta alla mente pensieri filosofici appartenenti a Nietzsche o Popper. E tutto questo nerissimo fondo di caffè che descrive, finisce per provocare emozioni. Le emozioni scaturiscono arrivando a formare una cascata per la quale è necessario lasciarsi travolgere. È qui che si mettono le basi per il romanzo moderno, dove cadono dogmi là dove la scrittura del suo tempo ne è pregna. E tutto questo è possibile solo perché un secolo fa, una donna di grande levatura intellettuale, si è seduta davanti al suo scrittoio situato nel Sussex, dando vita a libri straordinari che raccontano di come l’essere umano potrebbe essere libero, di come potrebbe parlare al nostro “io” se lo si lasciasse comunicare senza filtri.
La stessa donna che portava un peso probabilmente troppo grande per le sue spalle e che un giorno ha scelto di non vivere più. E l’ha fatto in maniera tanto drammatica quanto affine ai suoi romanzi. Romanzi che ci hanno regalato meraviglie, che ci fanno sentire svincolati, senza catene.
Probabilmente come lei ha sempre desiderato, prima per i suoi lettori e poi per sé stessa.