Una telefonata non allunga la vita ma il telefonino talvolta la spegne. La morte in diretta va in onda senza pietà dagli smartphone bollenti di una sera d’estate lungo il corso di una cittadina sulla costa Adriatica. Mentre un uomo muore strangolato da un assassino, l’indifferenza intorbida le nostre coscienze e gli ultimi brandelli di umanità.
Civitanova Marche è una di quelle cittadine della provincia italiana che costituiscono il cuore produttivo di questo strano Paese. Non è un luogo da rotocalco, né da rivista turistica patinata; non ha ospiti “vip”, né eventi straordinari. Civitanova Marche è una piccola città, dove lo scorrere della vita appare sereno e semplice, anche in quel suo viale centrale, nel quale si è consumato un delitto atroce, senza causa né motivo.
Un uomo – non importa di quale colore e di quale origine, perché un uomo è anzitutto e prima di tutto un Uomo – ha bruciato la sua agonia in soli quattro minuti, colpito a morte da una furia incontrollata ed incontrollabile. Ha solo chiesto una minima attenzione alla sua povera mercanzia o un po’ di carità, ma basta questo per scatenare la squilibrata ira e la violenza più feroce. Tutt’attorno i telefonini di passanti indifferenti riprendono la morte in diretta, quasi si trattasse di uno show. Nessuno fa nulla e quell’uomo muore solo e massacrato di botte. Non è la prima volta che accade.
Tanti forse non ricordano, ma il 4 agosto 1997, Civitanova Marche è a Trento, nel sobborgo di Gardolo. Quella sera è tardi ed un altro uomo sta rientrando a casa dopo il lavoro. Su di una vecchia BMW bianca, quasi sotto l’abitazione di quell’uomo, qualcuno sta cantando a squarciagola i motivetti trasmessi dalla radio. E’ proprio tardi e l’uomo chiede semplicemente un minimo di silenzio, ma basta questo per scatenare la squilibrata ira e la violenza più feroce. Viene pestato a morte ed a nulla vale il pronto intervento dei Carabinieri. Attorno non ci sono telefonini, ma l’indifferenza forse non è stata poi tanto diversa.
Gardolo come Civitanova Marche. Così si muore nel XXI secolo. Si muore d’indifferenza, di egoismo, di silenzio. I benpensanti girano altrove lo sguardo; fingono di non vedere e si trincerano dietro scuse banali, se non incredibili.
Nel frattempo, la vita di un Uomo fluisce nel rosso intenso del suo sangue che scorre sul marciapiede, senza inondare le nostre anime.
Il giorno dopo lo sdegno, la riprovazione, la solidarietà proclamata riempiono giornali e conversazioni, ma non asciugano affatto tutto quel denso sangue e il dolore collettivo dura esattamente il tempo di darne notizia.
Alla Stazione centrale di Milano c’è il memoriale del Binario 21, da dove partivano i treni per Auschwitz. Liliana Segre ha voluto che li campeggiasse la parola “indifferenza”, consapevole che in essa si racchiude il cancro del nostro tempo, incapace di minima empatia verso la vittima e di ostracismo verso il carnefice. A Milano nell’inverno 1943/44 non c’erano i telefonini, ma la Memoria si è incaricata di raccontarci ogni giorno il senso e l’esito di tutta quell’indifferenza. La Memoria è il telefonino della coscienza e non si scarica mai. Basta solo usarla.
A Civitanova Marche i passanti hanno afferrato, anziché l’assassino, i telefonini, dimenticando ogni lezione della Memoria. A Gardolo le finestre, spalancate come bocche attonite sull’orrore, hanno visto poco, tardi e male e forse nessuno fa ancora Memoria di quella notte d’agosto.
Ma se continueremo a voltare altrove lo sguardo, cosa rimarrà del nostro umano? Qualche fotogramma sul telefonino a ricordarci che, in passato, siamo stati uomini ed oggi non lo siamo più? La lezione del tempo non serve a nulla, perché nessuno ascolta e impara. E allora, quanti altri marciapiedi dovremo ripulire dal sangue di un Uomo, prima che il telefonino venga dopo il nostro cuore?