Se l’invito alle cerimonie pubbliche porta la postilla “È gradito l’abito scuro”, un volume, da poco in libreria, racconta come nel veronese sia “gradita la camicia nera”. Renzo Fracalossi ha letto il libro di Paolo Berizzi il quale spiega la genesi e lo sviluppo, la fascinazione dell’estrema destra sulle colline della “città dell’amore”. La lunga mano della destra xenofoba e razzista, quarant’anni fa ha prodotto uno sciagurato omicidio anche a Trento: la morte di un prete con un chiodo in testa (e al chiodo era legata una croce) piantato da due giovani assassini della “banda Ludwig”. Don Armando Bisson, vicentino, fu ferito a morte sulla salita che porta al convento dei religiosi Venturini. Un anno dopo, il 4 marzo 1984, i due serial killer (10 vittime accertate, 28 vittime sospette) furono arrestati a Castiglione delle Stiviere, nel Mantovano, mentre cercavano di incendiare con una tanica di benzina la discoteca “Melamara”. All’interno stavano ballando quattrocento ragazzi. La strage fu evitata per un soffio. Condannati a 27 anni di carcere, Wolfgang Abel e Marco Furlan sono in libertà da tempo.
“È gradita la camicia nera”. Con questo originale titolo è recentemente uscita in libreria l’ultima “fatica” di Paolo Berizzi, giornalista d’inchiesta – forse uno degli ultimi “dinosauri” di un genere che non pare più essere molto in auge nelle italiche redazioni – che lavora al quotidiano “La Repubblica” ed è autore di alcune preziose indagini sugli incubatoi dell’estrema destra nazionale.
Berizzi è un giornalista preparato e che basa le sue analisi su documenti, fatti, contatti, ma è anche un uomo con la schiena diritta – altra “rara avis” – e di grande coraggio. Proprio queste caratteristiche lo costringono a vivere dal 2019 sotto scorta, per evitare quelle “cortesi attenzioni” che neonazisti e neofascisti continuano a minacciare, esattamente come accade con l’ultranovantenne Senatrice della Repubblica Liliana Segre.
Forse basterebbe considerare l’anormalità, in una democrazia solida, di queste situazioni per percepire l’incombente rischio rappresentato dalla poliedrica galassia di gruppi, organizzazioni, movimenti e “squadre” di palese ispirazione ideologica nazista, antisemita, xenofoba e suprematista che affollano, con crescente arroganza, il proscenio politico nazionale, grazie anche ai molti sdoganamenti effettuati da quei “raccoglitori del consenso” i cui guasti hanno segnato la storia di questo Paese.
Infatti, continuando a derubricare la montante onda nera delle nostalgie autoritarie, dell’antisemitismo e del razzismo, onda che lambisce ormai anche le coste di tutto il vecchio continente, si rende un enorme – e spesso inatteso – servizio alle risorgenti idolatrie dell’imbianchino di Branau am Inn o del maestro di Predappio. Classificare questi pericoli come “normali” rischi criminali, al pari di una rapina o di una truffa, è probabilmente la responsabilità maggiore di quelle maggioranze silenziose che volgono sempre lo sguardo altrove; che definiscono le intimidazioni goliardia o ragazzate; che dichiarano ripulsa per la politica e che invocano il ritorno di un qualunque “lui” al quale delegare doveri morali, coscienza e destini.
Ecco quindi che volumi, ricerche ed approfondimenti come quelli proposti dalle pagine di Paolo Berizzi (“E’ gradita la camicia nera” – Ed. Rizzoli – pp. 250, euro 17) sono indispensabili e straordinari, non solo perché hanno il non comune pregio di farsi leggere agevolmente da chiunque, ma soprattutto perché portano in superficie realtà che fingiamo di non vedere e le smascherano denunciandole per ciò che sono: il terribile tentativo di riportare indietro l’orologio della storia.
L’autore si addentra nel tanto declamato nord-est e illumina zone d’ombra del tutto sconosciute ai più, concentrando le attenzioni sulla città di Verona, urbe dell’amore shakespeariano, operosa e tranquilla, ma anche cuore pulsante di larga parte degli estremismi di destra. Una città insomma dove convivono e si intrecciano le esperienze del cattolicesimo più fondamentalista, anticonciliare ed antilluminista con quelle delle pulsioni separatiste e dell’avversione per lo Stato unitario; quelle degli “ultrà” delle curve calcistiche con quelle dei giovani naziskin e dei meno giovani nostalgici di ogni ora buia ed infine quelle dell’ “ordine sociale ad ogni costo” con quelle di alcune libere professioni, in un trionfo di aspirazioni, raduni e violenza sempre più preoccupante.
Soggetti di estrazione e formazione diversa si ritrovano così nelle manifestazioni rievocative e folkloristiche veronesi come nei consigli d’amministrazione o in quegli appuntamenti riservati e discreti dov’è “gradita la camicia nera” e dove soprattutto si elaborano strategie ed appoggi elettorali che hanno consentito, a loro volta, rapide ed incredibili carriere di pregiudicati e di estremisti, portandoli fin sui banchi del Consiglio comunale scaligero e nel vasto sottobosco delle nomine, degli incarichi e delle consulenze nelle società partecipate e municipalizzate.
Berizzi offre al lettore un quadro incredibile ed agghiacciante dell’infiltrazione estremistica nelle istituzioni, preconizzando che gli accadimenti veronesi possono ripetersi altrove e con esiti imprevedibili.
Ma perché proprio Verona? Qui certa tradizione fascisteggiante ha salde radici che si rifanno alla costituzione del “Fascio di combattimento” scaligero nel 1919, fondato solo tre giorni dopo la fatidica riunione in piazza San Sepolcro a Milano dove prende vita il movimento “Fasci di combattimento” e con esso il fascismo. Ma non solo. Dopo la costituzione dell’ultima finzione politica di Mussolini, con la proclamazione della Repubblica Sociale Italiana e con il Manifesto di Verona, la città ospita molte sedi istituzionali del regime fantoccio ed anche gli alti comandi nazisti delle SS e del Servizio di Sicurezza diretti da Wilhelm Harster. Infine, l’eversione nera del secondo dopoguerra che fa di Verona un crocevia di coordinamento e di raccordo fra i vari Ordine Nuovo, Rosa dei Venti, Fronte Nazionale, Avanguardia Nazionale e via elencando, in un crescendo di terrorismo e morte. Ma non basta ancora.
Berizzi conduce il lettore sulla dolce collina veronese, quella dell’Amarone e dei bolliti misti, per incontrare un fantasma riemerso dalle nebbie dell’orrore, il fantasma di “Ludwig”, una pseudorganizzazione criminale di ispirazione nazista, animata da Wolfgang Abel e Marco Furlan, che negli anni Ottanta, si macchia di efferati delitti, fra i quali l’uccisione, immotivata quanto premeditata, a Trento di un anziano sacerdote il 26 febbraio 1983. Sotto il motto “Gott mit uns”, il delirio omicida di questi killer ideologizzati costituisce anche un esempio dell’occulta saldatura fra estremismo neonazista e certe aree ultracattoliche e tradizionaliste che proprio nel veronese hanno sede e che qualche ruolo hanno avuto anche in quel, tanto discusso, “Festival della Famiglia” che proprio a Verona ha trovato il suo luogo d’elezione.

Scontata la pena, Wolf Abel vive in collina, accudisce l’anziana madre e dichiara di non occuparsi più di politica. Nessuno sa se sia vero, ma “Ludwig” ha lasciato una traccia di sangue e di odio che è stata percorsa da tanti negli anni seguenti, fino alla più recente strage di ragazzi innocenti sull’isola norvegese di Utoja ad opera di un altro esaltato neonazista: Andres Brejvik.
Il libro di Berizzi propone quindi uno spaccato inquietante su ciò che ribolle nel laboratorio dell’estremismo “neofascionazista” italiano, ricordandoci al contempo l’impegno a non abbassare mai i livelli di attenzione, nella consapevolezza che anche in Germania qualcuno andò al potere attraverso le elezioni.
Con una campagna elettorale segnata da brogli e violenze, venne assicurata la soluzione di ogni problema, ordine e prosperità ed un futuro radioso, privo del lerciume ebraico, delle vite indegne d’essere vissute e di chiunque avesse osato pensare in autonomia. Foreste di braccia levate hanno esaltato nei raduni oceanici a Norimberga o nella romana piazza Venezia dominata dal famoso “balcone”, l’ “uomo della Provvidenza”, salvo ritrovarsi poco dopo e tutti insieme a morire nelle steppe russe o nei deserti africani.Ed oggi? Con una guerra alle porte e con l’enormità dei problemi che sovrastano il nostro tempo, riaffiora l’imbonimento del “panem et circenses”; le contiguità con gli autocrati di aspiranti “Nobel per la pace” da esibire a Pontida; le promesse facili quanto irrealizzabili ed il sempre sotterraneo ripudio del sogno europeista e tutto questo in nome del popolo, al quale si rammenta che, per partecipare all’ immarcescibile domani di gloria e ricchezza che lo attende, “è gradita la camicia nera”.
1 commento
Leggo la recensione nel caldo e nero Egitto di al Sisi, in fuga io, dalle amenità montane. Del nero condivido la pelle ma ne aborro gli animi in tinta. Leggerò il libro senza goderne, masochisticamente come tentativo di levarsi una spina. E con il pensiero al nero ucraino e a quanti lo alimentano: materia per un altro libro coraggioso.